”Prego favorisca i documenti”. Potrebbe essere questa la richiesta di chi si appresta, in futuro, a comprare o a consumare al ristorante un vino italiano.
Un po’ per arginare i forti danni subiti dalle cantine e dai produttori a causa delle contraffazioni. La proposta arriva dagli enologi italiani, che si sono riuniti nel 66mo congresso di Assoenologi ad Orvieto. In apertura dei lavori è stata rilanciata la necessità dell’analisi del Dna del vino per tracciare una sorta di “carta di identità” che tuteli la produzione nazionale. La protesta di Assoenologi verso quel fenomeno di ‘Italian sounding’ che in alcuni Paesi riguarda una bottiglia su tre di vino italiano, è tanto più motivata dall’andamento brillante che registra l’export della produzione nazionale vitivinicola. Mentre i consumi interni sono in fase di stallo, le consegne sui mercati esteri hanno registrato nel primi tre mesi dell’anno un aumento del 13,9% (e del 14,5% in valore). Quasi il 50% del vino italiano – sottolinea Assoenologi – si dirige oltreconfine. Sempre lanciati gli spumanti (+25%). ”Ma la vera sorpresa – osserva il direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli (nella foto) – è il vino in bottiglia che mostra un’espansione dei valori del +7,4%, mentre il valore medio è in crescita del 10,6%”. I mercati che nell’ultimo anno hanno considerevolmente aumentato la richiesta di prodotto italiano sono quello cinese (+84,7%) e quello russo (+76,6%). In quest’ultimo in particolare le esportazioni di vino italiano sono raddoppiate (+91%) ma sono però scattati superdazi che rischiano di frenare la forte
crescita dei consumi del prodotto italiano, lamenta la Coldiretti dopo ”un risultato dovuto anche alle ottime performance dei nostri spumanti che rappresentano in valore oltre un terzo delle esportazioni complessive di vino”. E c’e’ anche chi come l’assessore all’agricoltura del Veneto, Franco Manzato, chiede al premier di chiamare Putin per protestare contro i dazi che impongono una tassa di 1,6 euro per le bottiglie da 0,75 litri contro gli 0,80 euro imposti alla Francia e alla Spagna.
Questo significa che il vino italiano a Mosca costerà il 30% in più. In Cina, invece, il boom dell’import sta in particolare invogliando la classe benestante, colta e attratta dai costumi occidentali (una platea di circa 100 milioni di persone) a richiedere il vino di qualità, come
status symbol del proprio livello sociale. Nell’ultimo anno sono stati portati a termine dall’Ispettorato controllo qualità del ministero delle politiche agricole sequestri per 11,5 milioni di euro ed è spesso emersa una convivenza tra le aziende vitivinicole e società di
intermediazione per i mercati esteri. Le frodi più ricorrenti e anche più dannose per l’immagine del vino italiano nel mondo sono quelle che riguardano il rispetto dell’origine varietale, ovvero la corrispondenza tra il vitigno indicato in etichetta e quello da cui proviene il vino contenuto effettivamente nella bottiglia. La certezza che un vino sia davvero prodotto da uve Sauvignon o Pinot noir, da varieta’ Cococciola o Marzemino, non e’ solo un’importante leva di marketing. La tracciabilità varietale assume insomma grande rilievo per combattere i pirata delle contraffazioni. Un metodo in grado di risalire al vitigno
utilizzato avrebbe, ad esempio, evitato il blocco dell’export negli Stati Uniti che, qualche anno fa, ha colpito il Brunello di Montalcino sospettato di non essere prodotto da sole uve Sangiovese come previstodal disciplinare di produzione. Un problema, inoltre, non solo italiano visto che mesi fa sono state individuate partite di falso Chardonnay australiano realizzate da produttori cinesi.
Elena Mancuso