“Scusi, ma lei che lieviti usa?”
“La Candida Zemplinina”. “Ah! Pensavo i Saccharomices Cerevisiae!”. Sembra un dialogo tra due esperti enologi, invece la prima domanda parte da un semplice consumatore di vino. Semplice ma colto, una figura non più rara, anzi sempre più diffusa, che indaga sul parco aromatico, cerca nuance tipiche del vitigno e del territorio ma poi trova solo caratteristiche del lievito, di quelli che a volte sanno trasformare un Grillo girgentino in un “autentico” sauvignon friulano, ma poi poco importa se alla fine il vino è autenticamente fresco e gradevole come sempre più richiede il mercato. Ma i ruoli dei lieviti vanno ben oltre a questi effetti, che pure hanno un senso se gli studi continuano ad erigere conquiste non solo finalizzate al gusto ma soprattutto all’aspetto salutistico che si riconosce a quella fascia di vini a basso “regime di solfiti”.
Lo sa molto bene l’Irvos che da anni impiega capitali e risorse umane al fine non solo di “gestire” i solfiti secondo le mode attuali ma di fornire nuovi strumenti all’enologia siciliana anche alle aziende produttrici a cui viene offerta una gamma di prodotti che può soddisfare qualsiasi politica commerciale e volte mirata ad osservare un rispetto salutistico, altre ad elevare la qualità e ancora a migliorare le caratteristiche territoriali dei vitigni vocati. Così nella giornata conclusiva del “VinoVip” di Cortina è andato in scena un aggiornamento professionale che però gli organizzatori hanno classificato come una “esperienza eccezionale per i wine lover”. Relatori il ricercatore Daniele Oliva e l’enologa Graziana Grassini. Hanno presentato tre progetti: “Il primo – spiega Oliva – riguarda un protocollo di vanificazione che esclude in toto qualsiasi uso di solfiti e lo abbiamo sperimentato su due vini sicilianissimi, il Nero d’Avola e il Cerasuolo di Vittoria accostando ad essi lo stesso vino vinificato con l’aggiunta di solfiti al fine di dedurre gli esiti differenti e farne una comparazione obiettiva a cui ha lavorato anche il professor Di Stefano. Il secondo progetto riguarda i lieviti, quelli con Saccharomices come la Candida Zemplinina, la cui caratterista è quella di abbassare di mezzo grado il tenore alcolico e di raddoppiare del cinquanta per cento la produzione di glicerolo. Da avere così vini particolarmente eleganti, morbidi e rotondi. Terzo progetto: recuperare la viticoltura per i suoi abitanti dell’isola di Linosa, un tempo valido sostegno con le prime vinificazione dello Zibibbo ottenuta dai vigneti che l’Istituto ha voluto reimpiantare nel 2008. E’ una viticoltura estrema, siamo più vicini all’Africa con non all’Europa, però sappiamo che da queste difficoltà e fatiche nascono sempre i vini più buoni. “E il Passito che presenteremo siamo sicuri che sorprenderà, (e così è stato). Vorremmo anche – conclude Oliva – ottenere nuovi lieviti che possano partecipare significatamene alla crescita dell’enologia siciliana”.
E i primi risultati si sono toccati con mano, anzi con le papille degustative. Perché tra gli obbiettivi dell’Istituto, si contemplava il progetto di un vino senza solfiti che risultasse indistinguibile da quelli vinificati col protocollo tradizionale. E Graziana Grassini, orgogliosa di aver partecipato al progetto, questi sei vini (un Grillo, due Cerasuolo, due Nero d’Avola, e il Passito) li ha tenuti a battesimo. Con la sua grazia, li ha presentati, decritti, declamati e fatti apprezzare. Almeno così ci è parso il test di approvazione, per alzata di mano, dell’intera platea.
Stefano Gurrera