Nome: Liberty Tug, classe: 1948, bandiera: inglese. Ex-rimorchiatore, ex-navetta oceanografica del National Geographic, oggi sede itinerante della Fondazione Palazzo Intelligente di Guido Agnello.
Con il patrocinio dell’Assessorato Regionale del Turismo, la venerabile imbarcazione ha recentemente terminato il suo “Botta di sale”, workshop promozionale di un affascinante itinerario sulle Vie del Sale, approdando venerdì 16 settembre nel porto di Marsala.“I lottatori di sumo gettano il sale sul quadrato prima degli incontri” ha ricordato, durante la conferenza conclusiva a bordo del Liberty Tug, il giornalista giapponese Tetsuro Akanegakubo, e io stessa ricordo di aver visto a Kyoto la mia amica Yoko posizionare ciotole di sale fuori della porta prima di uscire in giardino a osservare il plenilunio di settembre, per il quale i giapponesi hanno una venerazione particolare. L’uso apotropaico del sale è pratica universale, anche i tifosi del Palermo gettano il sale sul campo prima dell’inizio della partita.
La navigazione del Liberty Tug ha interessato l’estremo lembo occidentale della Sicilia, comprese le tre preziose Egadi, mentre a bordo si sono alternati per una settimana gli esperti incaricati di mettere a punto le proposte operative del progetto.
La Liberty Tug
Tradizioni, paesaggio, archeologia, architettura, gastronomia: nulla manca alla Via del Sale per attirare il tipo di turismo che sempre più viene invocato come l’unico ancora sostenibile, quello culturale. Poco importa che il motore del natante ansimasse un po’: il suo ritmo fungeva da base al sassofono di Gianni Gebbia. Per immortalare i luoghi in modo insolito, sulla tolda era al lavoro Suisse Marocaine, originale artista che è nato, per sua metaforica affermazione, “alla frontiera fra Svizzera e Marocco”. In questa full immersion non poteva essere trascurato l’aspetto enogastronomico, e nulla era casuale nel menu di bordo, suggerito da Gaetano Basile, realizzato dal comandante-chef Nino Lo Cicero e ispirato alla cucina, povera e inventiva al tempo stesso, cui si dedicavano durante le battute di pesca i marinai trapanesi utilizzando gli scarti del pesce. Un ingrediente molto particolare di questa zona della Sicilia è la salicornia, che cresce spontanea sugli argini delle saline, e può essere condita in insalata, o accompagnare il tonno. Come è noto, gli organismi viventi sono costituiti per oltre il 70 per cento di acqua, ma forse non tutti sanno che quest’acqua è salata e riproduce in modo impressionante la composizione chimica dell’oceano: non è quindi un’esagerazione affermare che ognuno di noi è parte di un intero oceano ambulante e che, secondo le parole del biologo americano Ritchie Ward “il mare pulsa ancora nelle nostre vene” (1971). Consentendo la conservazione dei cibi, il sale è sempre stato un elemento prezioso nella storia dell’umanità. Definito addirittura “divino” da Omero (halos theio, Iliade, IX, 214), usato per augurare fortuna ma anche per sterilizzare i campi dei vinti, il sale era parte dello stipendio (non a caso detto salarium) dei soldati romani, ha determinato molti toponimi tra cui Hallstadt, Salisburgo, Gallia e Galizia, ha scatenato guerre e rivoluzioni: contro il balzello sul sale imposto dagli inglesi, nel 1930 Gandhi iniziò la sua famosa marcia cui si unirono milioni di indiani. Il sale ha sempre connotazioni positive: le parole salute esaluto la dicono lunga in proposito, al contrario l’insipienza dei cibi poveri ispirò l’uso di sciocco (tuttora in uso in Toscana con il significato di “senza sale”) per indicare una persona stupida. Il mare Mediterraneo ha un grado di evaporazione elevato e di conseguenza è molto più salato degli oceani; il lavoro è quindi già fatto in parte dalla natura. In Sicilia il sale è sempre stato molto economico perché non vi era applicato il monopolio statale in vigore nel resto del Paese fino al 1973.
Accadeva così che i siciliani emigrati al nord d’Italia, al momento di tornare in continente, portassero spesso con sé dei pacchi di sale. A causa di questa abbondanza, malgrado sia oggi risaputo che un eccesso di sale è dannoso alla salute, i siciliani amano mangiare tutto piuttosto salato. Come una droga, esso genera assuefazione: numerose persone lo aggiungono sulle pietanze ancora prima di assaggiarle e molti siciliani, come gli arabi e come gli iraniani, mangiano gli agrumi con un pizzico di sale. Le saline trapanesi, zona di grande bellezza, sono oggi una Riserva Naturale; proprio qui, nell’VIII secolo a.C. i Fenici colonizzarono l’isoletta di Mozia. Detentori di una specie di monopolio del sale in tutto il Mediterraneo, essi impiantarono delle saline sulla vicina costa: devono aver presto compreso che un luogo così ventoso e pianeggiante era ideale a questo scopo. Erano saline piuttosto rudimentali, ben diverse dal complesso e sofisticato sistema di evaporazione tuttora in uso nelle odierne saline trapanesi, che sono caratterizzate da due tipi di mulini a vento (“olandese” e “americano”): pare siano stati gli olandesi a copiare quelli trapanesi, i quali a loro volta avevano riprodotto un modello ottomano. In mancanza di elettricità, i mulini erano un tempo usati sia per macinare il sale che per azionare le viti di Archimede e sollevare in tal modo grandi quantità d’acqua marina da una vasca all’altra. Per vedere delle saline ancor più “fenicie”, cioè “naturali”, con vasche intagliate nella roccia, che si riempiono esclusivamente con la forza del mare, occorre percorrere qualche miglia di mare in più e recarsi a Gozo, dove da secoli una famiglia locale ha l’usufrutto delle saline e si occupa della raccolta del sale: il sale marino infatti si coltiva e si raccoglie, come il grano o l’uva. Quando il sale è “integrale”, cioè raccolto a mano, non subisce lavaggi o processi di raffinazione, né aggiunte di altri sali minerali: quello di Trapani è oggi Presidio Slow Food.
Al sale marino oggi i dietologi riconoscono grandi virtù rispetto a quello minerale (o salgemma), dal momento che contiene più potassio, più magnesio e ha un minore contenuto di cloruro di sodio. “Le saline furono probabilmente le prime costruzioni ‘intelligenti’, volutamente destinate a riprodurre alcuni processi naturali finalizzati al benessere della nostra specie” afferma Silvano Riggio dell’Università di Palermo, che così prosegue: “Le saline trapanesi con la loro successione di vasche contenenti salamoie sempre più concentrate, costituiscono un mosaico di ecosistemi variabili da quello lagunare marino a quello dei laghi desertici ad altissima salinità” (A.A. V.V. “L’industria del sale marino in Sicilia”). Dai prototipi cinesi di 3000 anni fa, si passò a quelli mesopotamici da cui derivarono le saline mediterranee. Dopo l’alluvione del 1965 Trapani ha rischiato di perdere le sue saline come è accaduto nella Sicilia orientale dove le saline di Priolo, Augusta, Siracusa, Vendicari e Pachino sono state prosciugate e fagocitate dagli impianti industriali, o semplicemente abbandonate. Accanto alla tonnara di Vendicari c’è una salina in disuso, e sopravvivono i ruderi degli impianti per la conservazione del tonno: molto stretto infatti è sempre stato il rapporto fra sale e pesce, data la necessità di conservare prodotti ittici facilmente deteriorabili. Il progetto “Botta di sale” è finalizzato alla conoscenza e alla conservazione di questo patrimonio incalcolabile tuttora esistente nella zona trapanese.
Marcella Croce