Parmigiano Reggiano da Vacca Rossa
Boccaccio e la contrada di Bengodi.
Basterebbe questa celeberrima novella del Decameron che ha per protagonista Calandrino per ricordare quanto fosse già conosciuto il Parmigiano Reggiano nella metà del 1300. Il padre della novella italiana (e appassionato food lover, diremmo oggi) nel descrivere le delizie dell’immaginaria cittadina, racconta di una montagna di formaggio “parmigiano grattugiato” dal quale rotolano giù maccheroni e ravioli dando così una indicazione dell’uso che se ne poteva fare in cucina.
Sostengono gli studiosi che la Vacca Rossa Reggiana sia la “madre” del Parmigiano Reggiano. Da questo latte e dai monaci Benedettini (che insieme ai Cistercensi ebbero un ruolo fondamentale nella definizione della tecnica di fabbricazione) nasce, dunque, il re dei formaggi. Questa tipologia bovina autoctona del centro e del nord Italia rischiò l’estinzione negli anni Ottanta e fu allora che un gruppo di allevatori, spinti dall’amore per la propria terra e per questi animali, diede vita ad un progetto di valorizzazione che favorì una ripresa costante del numero dei capi attraverso il legame col prodotto principe del suo comprensorio, il Parmigiano Reggiano. Non è necessario essere degli esperti per rintracciare le caratteristiche più importanti del Parmigiano Reggiano prodotto dalle “Vacche Rosse” (riconoscibile anche attraverso due marchi aggiuntivi il marchio Vacche Rosse, razza Reggiana di proprietà della “Grana d’Oro” e il marchio Razza Reggiana di proprietà della ANABORARE, dato in uso a tutti i caseifici che ne fanno richiesta) senza dubbio il più raro a causa della minor capacità di produzione del latte di questi bovini (30% in meno di latte rispetto alla Frisona).
Vacca Rossa
“Il consumatore” spiega Luciano Catellani, fondatore del Consorzio Valorizzazione Antica Razza Reggiana – ora Consorzio Vacche Rosse – di cui è stato presidente fino al 2012: “rimane sempre molto sorpreso da questa tipologia di formaggio prodotto dal latte di razza Reggiana. Un latte che, rispetto a quello della Frisona, è più ricco di proteine, di caseina e di calcio. Gli allevamenti si trovano principalmente nella provincia di Reggio Emilia. Un severo regolamento sta alla base di questa produzione: solo erba, fieno e mangimi certificati senza l’uso di ogm”. Il risultato è un formaggio con almeno 24 mesi di stagionatura, dal colore giallo paglierino (dato dall’erba ricca naturalmente di beta – carotene) con un aroma intenso, ma delicato e dal sapore dolce che piace anche ai bambini. Un formaggio, che in un momento così delicato per l’economia, non conosce crisi.
Una fase della lavorazione del formaggio
Fanno parte del Consorzio nove caseifici produttori e trentotto aziende produttrici, mentre sono dodicimila le forme prodotte all’anno per un fatturato di circa sei milioni di euro nel 2012. Il 20% del prodotto è invece esportato. Numeri importanti per un parmigiano come quello prodotto dalle vacche rosse dove la produttività più di tanto non può aumentare. “L’export” continua Catellani“è importante per far conoscere il nostro prodotto all’estero. Anche si tratta di una piccola produzione siamo comunque presenti in Australia, in Canada, in Giappone e in quasi tutti i Paesi europei. Sicuramente bisognerebbe lavorare ulteriormente sulla promozione, ma le aziende sono fatte da allevatori che non hanno il tempo di dedicarsi a questo tipo di attività”.
La forma di Parmigiano
Un prodotto di nicchia come riesce a coniugare il paradigma tra tecnologia e tradizione, tra efficienza industriale e calma artigianale?: “L’alta produzione a bassi costi da noi non esiste. E’ una questione di mentalità. Se uno vuole orientarsi sull’industriale allora deve spingere in quella direzione, se si vuole invece mantenere inalterata la tradizione, la qualità e il prodotto tipico è necessario agire in modo diverso. A livello nazionale siamo stati i primi a legare alla razza il suo prodotto, in tempi in cui si guardava solo alle alte produzioni e non alla qualità”. L’allevatore di vacche rosse, ama ribadire Catellani, non è soltanto un allevatore che produce. E’ anche un allevatore che fa un servizio al consumatore fornendogli un prodotto artigianale straordinario: “Ed è anche questo il limite fisiologico alla sua industrializzazione”. In questo ambito, infatti, la tecnologia è impiegata per perfezionare il processo di controllo su origine, sicurezza e igiene di materie prime.
Non è una favola quella raccontata dal fondatore del Consorzio. Eppure sembra che fare l’allevatore di vacche rosse piaccia molto ai giovani under 40: “Sicuramente i margini di guadagno ci sono perché il prodotto è quotato, c’è la richiesta e non ci sono problemi di mercato. Nel nostro caso si tratta di un allevamento a misura d’uomo in cui si rimane sempre a contatto con la natura, ma improvvisarsi allevatori non è facile. Ci vuole tanto coraggio, impegno, preparazione e dedizione. Le vacche vanno accudite 365 giorni all’anno. Questi animali necessitano di un minore uso di farmaci, sono longevi e c’è una grande attenzione al loro benessere. I costi di produzione sono, poi, abbastanza alti. Per questo è un mestiere che quasi sempre viene tramandato da padre in figlio e dove viene anche trasmessa l’esperienza di questi maestri caseari che ripetono ogni giorno gli stessi gesti come avveniva in tempi ormai lontani”.
foto: Parmigiano dal sito dell'azienda Grana D'Oro, vacca rossa e lavorazione del formaggio dal sito di Anaborare
www.razzareggiana.it (Anaborare)
www.isaporidellarossa.com
Rosa Russo