di Francesca Lucchese
Un chiosco, una piazza di Firenze, un capannello di gente, le chiacchiere e le battute tra un morso e un sorso di vino. In piedi, appoggiati a un albero o seduti su una panchina. Il fascino del cibo di strada è tutto qua.
L’allegria contagiosa e il gusto di mangiare un panino unico, di quelli che soddisfano il palato prima ancora che l’appetito. E per mangiare un panino con il lampredotto degno di questo nome devi andare in cerca dei trippai storici della città, sparsi nelle vie principali e nelle piazze ai margini del centro.
Il chiosco di Leonardo Torrini
Uno di questi è Leonardo Torrini, trippaio da 20 anni, che ci racconta il cammino del lampredotto dall’allevamento al celeberrimo panino. Intanto la moglie Silvia scherza e sorride mentre prepara i panini per avventori e passanti che affollano il chiosco.
Leonardo Torrini
Il consumatore di lampredotto è trasversale: dal bambino all’ora della merenda all’anziano a metà mattina, dal cliente abituale a quello di passaggio, dal turista straniero al professionista in pausa pranzo.
La storia del panino toscano più famoso inizia nella Firenze degli anni ’50. Prima di allora il lampredotto veniva venduto sfuso, servito su carta oleata con sale e pepe, sempre e soltanto nel pomeriggio. Oggi i chioschi sono aperti tutto il giorno anche perché Leonardo insegna che “Il momento migliore per gustarlo è al mattino intorno alle 10, quando il calore del panino nelle mani si unisce al profumo del brodo e del pepe. Oppure alle cinque del pomeriggio…altro che il tè degli inglesi!”.
Il lampredotto intero
Il lampredotto puro lo vedi in vetrina nel chiosco tutto arricciato con la sua gala, che è la parte scura plissettata, e con la parte più chiara chiamata spannocchia. Prima di arrivare qui ha subìto un passaggio fondamentale, quello della lavorazione in laboratorio. A Firenze sono solo tre i laboratori che effettuano la pulitura a mano con una prima cottura in acqua calda, poi il passaggio in acqua fredda e infine la spazzolatura manuale con il bruschino. È una fase cruciale che fa la differenza perché nelle macchine la fibra viene denaturata e appiattita e le gale non sono affatto così vive e belle.
E il cliente del lampredotto non perdona: il primo requisito in assoluto da rispettare è la freschezza. Ecco perché la fornitura è giornaliera.
Panino con il lampredotto condito con salsa verde, sale e pepe
Tecnicamente il lampredotto è l’abomaso del vitello di 18 mesi. Una parte dello stomaco considerata nobile e che, come la trippa, ha una percentuale molto bassa di grassi. La cottura è molto semplice: solo 30 minuti, al massimo un’ora di bollitura in brodo vegetale al pomodoro. Dal pentolone viene estratto fumante e tagliato a striscioline. Secondo la procedura completa tradizionale viene messo sul pane e condito solo con sale e pepe nero. Dopodiché la calotta superiore del panino viene bagnata rapidamente nel brodo caldo e voilà, il panino è pronto. Molti non rinunciano alla salsa verde a base di prezzemolo o all’olio al peperoncino. Altri chiedono il lampredotto “sbucciato”. “Una ferita aperta” secondo Leonardo perché la sbucciatura consiste in una sorta di spellatura che annulla inevitabilmente l’originalità e il gusto del prodotto. In effetti, mangiato in purezza con sale e pepe viene fuori una delicatezza straordinaria, la spezia esalta il sapore delle carni, incredibilmente rosa e tenere. Il rito prevede che a ogni morso il brodo sfugga al controllo gocciolando qua e là.
Salsa verde
Un bicchiere di Chianti è il complemento ideale e davvero, nonostante il falso mito, il panino con il lampredotto è uno spuntino leggero che non appesantisce. Niente olio, niente salse, morbido e umido grazie al brodo, soltanto poco più del 5% di grassi. Ci hanno giurato che qualcuno riesce a mangiarne anche tre.
Il prezzo: 3 euro in versione originale, 3,80 euro la giusta “punizione” per chi lo chiede sbucciato.
Chiosco di Leonardo Torrini
Firenze – Piazza del Bandino, angolo tra Via di Ripoli e Viale Giannotti (di fronte alla Coop di Viale Giannotti).