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Il prodotto

Momenti duri per il Pomodoro di Pachino Igp

10 Ottobre 2012
pomodoro_pachino pomodoro_pachino

Sulla rotta di Pachino, la cittadina che ha più ore di sole in tutta Europa.

E’ piccolo, lucente dal gusto inconfondibile. Sono duemila gli ettari di terreno coltivato e 144 le aziende che producono l’Igp più conosciuto in Italia e uno dei più contraffatti. In questo caso il falso non arriva soltanto dalla Cina, ma soprattutto dall’Italia, dall’Europa e dal Mediterraneo.

Con il termine pomodoro di Pachino il consumatore identifica spesso il classico pomodoro “ciliegino”. Ma questo è un  luogo comune che va sfatato. “In realtà il marchio Igp identifica soltanto la zona di produzione –  precisa Sebastiano Fortunato, presidente del Consorzio di Tutela Igp Pomodoro di Pachino  – mentre sono ben quattro le tipologie che lo caratterizzano: tondo liscio, a grappolo, costoluto e ciliegino”. Le prime coltivazioni risalgono al 1925 in un territorio molto ricco di potassio e particolarmente vocato per l’agricoltura, che abbraccia i comuni di Pachino, Portopalo di Capo Passero (tutti in provincia di Siracusa) e Ispica nel ragusano. Il successo del pomodoro di Pachino sta tutto nella brezza marina, nella salinità delle acque irrigue, dal livello di esposizione ai raggi solari e dal microclima decisivo per il suo tipico gusto dolce, saporito. “Una vera specialità agroalimentare – continua Fortunato raggiunto telefonicamente  – più che un ortaggio da mensa: piccolo baluardo della produttività italica da proteggere e da riscoprire in un momento così delicato del comparto ortofrutticolo”.


Sebastiano Fortunato

Questo tesoro prezioso e piccolo baluardo della produttività italiana si trova, però, a dover affrontare diverse problematiche importanti. La prima è legata al prezzo. “Alcuni Paesi emergenti –  commenta Fortunato – introducono nel mercato un prodotto molto simile a costi molto bassi. E’ necessario attuare una vera opera di sorveglianza verso i mercati per limitare e contrastare l’uso illegittimo del nome “pomodoro di Pachino”. Ma non è tutto. La promozione di questo prodotto sfugge alle logiche della grande distribuzione organizzata che è stata molto brava a concentrare la domanda dell’offerta. Le quantità prodotte poi e la stessa tecnica di distribuzione costringono il produttore ad un costo di partenza leggermente superiore rispetto ai pomodori generici. Fortunato su questo punto usa un tono molto critico: “Per non parlare delle abolizione delle frontiere e del libero scambio tra UE e Marocco che ha fatto emergere due importanti problemi: prima di tutto, per i prodotti provenienti da questo Paese, non ci sono delle garanzie che la sicurezza alimentare sia basata su principi e procedimenti simili agli standard sanitari europei. Il costo della nostra manodopera di un operaio italiano, poi, è certamente superiore – circa 60 euro al giorno – rispetto al un costo della manodopera marocchina che ha un costo intorno ai 5 – 6 euro. Non è un caso che il mercato marocchino stia invadendo i mercati internazionali. Si tratta di un problema che riguarda anche la produzione degli agrumi e degli ortaggi prodotti in Italia e può danneggiare gravemente l’agricoltura nazionale e quella siciliana che rappresenta il 25% dell’agricoltura nazionale: un dato da non dimenticare. Ci aspettiamo delle risposte concrete da parte delle istituzioni”.

Risposte che tardano ad arrivare. Una di queste, però, potrebbe essere rappresentata, come ha dichiarato di recente il Ministro Catania, da due chiavi di volta: aggregazione dell’offerta e qualità. Il presidente del Consorzio di tutela Igp di questo è intimamente convinto, però avverte: “Il popolo siciliano non è un popolo che si aggrega facilmente. Il nostro Consorzio, che nasce per tutelare e promuovere il pomodoro di Pachino, rappresenta uno dei pochi esempi della capacità di fare sistema e di unione. In poco tempo è poi diventato un importante punto di riferimento per tutta l’economia agricola dell’estrema regione sud orientale siciliana”. Un Consorzio che fa sentire la propria voce e che ha detto un grosso no alla Regione Siciliana. “La Regione Siciliana ha istituito nel 2011 una riserva che sconvolge il perimetro dell’Igp. Questa normativa, in questo momento, prevede soltanto la sopravvivenza di colture prodotte con metodo biologico, in un contrasto preoccupante con i sistemi di produzione del pomodoro di Pachino. Gli agricoltori non sono contro le politiche ambientali, ma l’applicazione cieca e meccanica di queste normative rischia di cancellare in un sol colpo tutte le aziende che ricadono in questa area e decenni di interventi strutturali per incentivare e sostenere una economia che oggi movimenta dai 300 ai 400 milioni di euro dando lavoro a circa 500 nuclei familiari. Abbiamo fatto vertenza al TAR e aspettiamo a breve la sentenza”.  

Un bel paradosso tutto siciliano se si considera che il pomodoro di Pachino gode già del riconoscimento ministeriale quale prodotto di qualità ad origine geografica protetta. Ma le beghe che il Consorzio deve affrontare non finiscono qui. Sebastiano Fortunato ha un’ultima storia da raccontare. Una storia che è finita in tribunale. Lo scorso anno durante la trasmissione “Bontà loro” condotta da Maurizio Costanzo, il giornalista Alessandro Di Pietro (noto conduttore di “Occhio alla Spesa”) ha invitato a boicottare l’acquisto del pomodorino di Pachino perché la filiera sarebbe controllata dalla mafia. “E’ stato un attacco ingiusto e inqualificabile” conclude senza nascondere l’indignazione“siamo tutti delle persone che hanno sempre lavorato e che non hanno mai avuto a che fare con la mafia. E’ intollerabile che dalla tv pubblica siano giunti appelli per danneggiare un sistema economico fatto da piccoli produttori e cooperative che puntano sulla eccellenza. Spero che sia fatta giustizia e che la Rai cerchi di rimediare al danno di immagine e al danno economico che abbiamo subito attraverso una campagna che miri alla promozione del nostro prodotto”.

Rosa Russo