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Il prodotto

La Falanghina che supera la prova del tempo

08 Giugno 2012

di Fabio Cimmino 

Certe volte si pensa di aver esagerato nello scrivere di un vino, soprattutto se si tratta di un produttore mai sentito prima e di un unico assaggio isolato.

Un azzardo ancor più rischioso se contestualizzato all’interno di un banco d’assaggio affollato di numerosi altri campioni della stessa tipologia ed annata, e per di più nell’ambito di una ancor più ampia manifestazione: il che tradotto significa un numero di assaggi in grado di destabilizzare anche il degustatore più affidabile (cosa che tra l’altro io non mi ritengo affatto).  

Eppure in un articolo-resconto da me scritto in occasione della prima edizione di Vitigno Italia a Napoli, mi ero lasciato andare nel segnalare una Falanghina a me, ma probabilmente a molti, sconosciuta quella di Pasquale Di Meo. Una Falanghina dal profilo minimalista, sobria, d’impostazione tradizionale, distante anni luce dalle interpetazioni moderniste tutta frutta e ciccia cui ci siamo dovuti nostro malgrado abituare in questi ultimi anni, assecondando trend di mercato esoprattutto il cosìddetto gusto internazionale. Con l’ “aggravante”, se anche l’occhio vuole la sua parte, di un’etichetta per nulla attraente.

Sicuramente il mio coraggio trovò conforto e fu, non poco, influenzato ed alimentato dalla presenza di un amico, esperto di Riesling tedeschi, seduto al mio fianco nel degustare i campioni presentati ed offerti, in quell’occasione, dal banco del Consorzio Campi Flegrei. Dopo la pubblicazione dell’articolo fu lo stesso Pasquale Di Meo che per ringraziarmi della mia inaspettata attenzione per la sua falanghina volle omaggiarmi di alcune bottiglie. Io, come spesso ho abitudine di fare, decisi di regalarle, a mia volta, a colleghi giornalisti ed amici degustatori per condividerne l’assaggio ed ascoltare il loro giudizio. Ma anche di imbucarne una bottiglia in cantina ed aspettarla alla prova del tempo. Non nutrivo particolari speranze ma solo una grande curiosità. Come sarebbe evoluta quella Falanghina un po’ rustica e verdeggiante ma vibrante d’acidità e pulsioni minerali nel corso degli anni?

Il mese scorso nel mettere ordine in cantina mi è ricapitata tra le mani ed ho deciso di stapparla ritenendo che ad 8 anni dalla vendemmia fosse, ormai, venuto il momento di verificare cosa fosse successo. Versata nel bicchiere, dopo aver constatato un’inimmaginabile perfetta tenuta del tappo, la prima cosa che mi ha colpito è stato il colore.

Ancora dei riverberi verdolini potevano essere scorti tra i fiammeggianti riflessi oro del calice riconducibili in una sola macchia di colore luminosa e accesa. Al naso le sorprese non sono finite perché il vino, pur conservando tracce residue di quel suo carattere verdeggiante di gioventù, ha ampliato la paletta aromatica in una direzione più esotica, ancorché delicata, di ananas disidratata, confettura d’albicocche e frutta secca arricchendosi di eleganti note speziate orientaleggianti, una manciata di tabacco, un tocco di miele ed una spruzzata di zafferano. Al palato non delude le aspettative con una bella freschezza a supporto ed una discreta lunghezza di finale. Un’ora e mezza di fuochi artificiali per poi lasciare spazio con l’ossigenazione ad un atteggiamento più dismesso e rilassato con l’affacciarsi, solo appena accennato sia ben chiaro, di qualche nota vagamente evoluta ad inclinare la sua ripida parabola ascendente prima su un piano orizzontale per poi curvarla leggermente verso il basso. Ma dopo otto anni di glorioso invecchiamento penso proprio che non potevamo chiedere ed aspettarci di più da questo bianco campano.

Vino umile e contadino nel senso più nobile del termine.

Azienda vinicola PA.DI.VIN.
Via Papino Stazio, 105
Torregaveta, Bacoli (Na)
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