Campania, provincia di Avellino, Gesualdo: il mappamondo di Slow Food, questa volta, si ferma in questo angolo di Irpinia, noto anche per essere stato il luogo dove visse il compositore rinascimentale Carlo Gesualdo.
Proprio da questa cittadina dove oggi vivono tremilacinquecento persone arriva un nuovo Presidio Slow Food: il sedano di Gesualdo. “Non può esistere un prodotto di qualità in un terreno che non sia di qualità – sostiene Alfonso Caloia, referente del Presidio – Per questo motivo, l’avvio del Presidio mira innanzitutto alla tutela del territorio, alla qualità dell’ambiente e delle condizioni di vita delle persone che ci vivono, creando le premesse affinché possano nascere microeconomie sostenibili”.
Gli stampi con i quali si ottengono i croxetti
Ci troviamo in Irpinia, sulla dorsale tra la valle dell’Ufita e la valle del Calore. In questa zona, il settore agricolo è sempre stato quello trainante, almeno fino al terremoto del 1980. “Gli agricoltori della zona venivano soprannominati “menestrari”, cioè verdurai, proprio per via della loro attività – racconta Alfonso – La fama di produttori di ortaggi di qualità li portava a vendere i propri prodotti nei paesi limitrofi e il sedano era senz’altro il principe dell’orto”. Merito di un terreno fertile, naturalmente ricco d’acqua e di una costante esposizione al sole. Anno dopo anno, però, l’abbandono dei terreni e la sostituzione delle coltivazioni con varietà moderne più produttive ha esposto il sedano di Gesualdo al rischio di estinzione. Per impedire che questo accada, gli agricoltori, la comunità cittadina e i cuochi locali hanno avviato un importante lavoro di valorizzazione nel tentativo di coinvolgere le nuove generazioni e stimolarle a impegnarsi in questo progetto di salvaguardia.
Una coltura impegnativa, ma scritta nel destino
“Coltivare il sedano di Gesualdo è faticoso, perché questa cultivar ha bisogno di tanto lavoro e di tanta assistenza”, spiega Nadia Savino, la referente dei cinque produttori che aderiscono al Presidio Slow Food. Il sedano, che in dialetto viene chiamato accio, si semina a metà gennaio e, dopo circa tre settimane, cominciano a spuntare i primi germogli. A fine aprile avviene il trapianto in pieno campo, mentre la prima raccolta avviene tra giugno e luglio. Di colore verde acceso nelle coste e nel ciuffo, presenta un gambo più chiaro, quasi bianco, e tondeggiante, con un diametro piccolo, che varia dai 3 ai 6 cm. A maturazione, la pianta raggiunge un’altezza che va dai 70 centimetri al metro. Che cos’è che rende la coltivazione tanto impegnativa? La lavorazione: il disciplinare vieta diserbanti chimici, consentendo esclusivamente l’utilizzo di mezzi meccanici o le scerbature manuali, mentre le concimazioni si effettuano con fertilizzanti organici. Per la difesa, infine, si adottano metodi di lotta biologica e princìpi attivi di origine naturale.
E poi, prosegue Nadia, ci sono le difficoltà per l’immissione sul mercato. “Il sedano fresco ha una commerciabilità limitata e questo è un fattore certamente limitante. Ma non ci perdiamo d’animo: stiamo lavorando su prodotti che abbiano una shelf life più lunga e che ci permettano di conservarne le caratteristiche organolettiche e nutritive, come ad esempio il sale di sedano. È un prodotto che nei Paesi anglosassoni viene molto utilizzato come condimento”. L’obiettivo, spiegano i referenti, è triplice: “Contribuire alla salvaguardia della biodiversità, promuovendo una coltivazione storica che non va perduta; alimentare lo sviluppo di un turismo che, partendo dall’enogastronomia, contribuisca a rendere merito alla lunga storia del luogo; infine, creare le condizioni affinché la filiera alimentare si sviluppi in mercati più ampi, in grado di dare dignità al prodotto e gratificazione ai produttori”. Ma tutto questo impegno vale la fatica e i sacrifici? Nadia non ha dubbi: “Chi non è gesualdino, forse, non può capire. Ma chi ha qui le proprie origini sa che non esiste insalata di pomodoro senza sedano e che non c’è vigilia di Natale senza accie e baccalà. A chi mi chiede “Perché continuare a coltivare il sedano?”, insomma, la risposta è una sola: “Perché parte della nostra cultura culinaria, è memoria storica””.
C.d.G.