(Niki Segnit)
di Michele Pizzillo, Milano
Fra qualche giorno si entrerà nell’anno del centenario della nascita del Negroni, il cocktail italiano più famoso al mondo.
E Martini, azienda fondamentale per la nascita e la diffusione di questo eccellente cocktail, ha creato il “Caffè Torino”, un bar moderno itinerante che racconta l’aperitivo italiano by Martini, per ripercorre la storia e la leggenda oltre che riproporre la versione classica del Negroni che prevede il mix di tre ingredienti di alta qualità: il vermouth Martini Riserva Speciale Ambrato o Rubino, il Martini Riserva Speciale Bitter e il gin Bombay Sapphire. E, a Milano, l’azienda torinese ha coinvolto l’inglese Niki Segnit, autrice di libri come il citatissimo “La grammatica dei sapori e delle loro infinite combinazioni”, ed esperta di Martini® E Sapori, che studia il gusto più trendy del momento. In Terrazza Martini la Segnit ha presentato “Ama l’amaro”, la mappa palatale del bitter che Caffè Torino porterà in giro per il mondo proprio per ricordare il centenario del Negroni. Che, com’è noto, è nato a Firenze dove, inizialmente, veniva chiamato “un Americano alla maniera del conte Negroni”, per diventare in seguito semplicemente il Negroni. Narra la leggenda che il conte Camillo Negroni, in un giorno imprecisato del 1919 avesse chiesto al bartender Fosco Scarselli della drogheria e profumeria Casoni (nel 1932 diventerà Giacosa) in via de’ Tornabuoni, di “irrobustire” il solito Americano, un cocktail molto di moda all’epoca a base di vermouth, bitter e soda. Tra le bottiglie presenti alle spalle del bancone, indicò quella del gin, capace di “rafforzare” il grado alcolico del drink, senza però alterarne il colore. Si aggiungeva così una piacevole sensazione secca e pulita insieme all’inconfondibile sapore aromatico e amaricante del ginepro.
Nella milanese Terrazza Martini è stato ricordato che dall’analisi dei libri mastri conservati presso l’Archivio Storico dell’azienda torinese, è stato possibile ricostruire l’elenco dei clienti fiorentini di Martini & Rossi sin dagli ultimi decenni dell’Ottocento: tra essi figuravano i caffè più importanti della città, come Casoni, appunto. Tant’è che in archivio è stata trovata una fattura datata 29 novembre 1916 emessa da Martini & Rossi verso Gaetano Casoni, con addebito di 333 lire corrispondenti all’acquisto di 206 litri di vermouth, un quantitativo veramente notevole di prodotto, per l’epoca. Ecco la conferma che la storia del cocktail Negroni si intreccia a quella dell’azienda Martini fin dalle sue origini e prosegue con costanza anche negli anni successivi. Emblematica, ad esempio, la testimonianza di Mauro Lotti, forse il più grande barman italiano, che ricorda: “A Firenze, gli anni ‘50 erano vissuti intensamente da tutti con la volontà di ricostruire il tessuto sociale della città, appena uscita dal periodo bellico. I bar più importanti di piazza della Repubblica avevano per primi ripreso le loro attività, come sempre ospitando la migliore clientela della città. Al Gilli lavorava mio padre Geraldo Lotti ed era il barman più seguito dalla clientela. A quei tempi, tutti bevevano Negroni e lui lo faceva con Martini Rosso. I suoi Negroni erano davvero speciali al punto che tutti volevano che fosse sempre lui a prepararli. Ricordo che quando si accingeva a farlo prendendo in mano il bicchiere, il tono delle voci dei clienti attorno al bar piano piano si abbassava, fino a raggiungere il silenzio totale al momento dell’ultimo gesto, quello di aggiungere uno schizzo di selz che, come un piccolo uragano, rimescolava ghiaccio e liquidi senza utilizzare il cucchiaio. Questo gesto era vissuto come un atto liberatorio e tutti rincominciavano a conversare consapevoli di avere assistito al piccolo miracolo del Negroni del Lotti”.
(Il Negroni)
A Milano, all’anteprima di quello che accadrà l’anno prossimo all’interno di Caffè Torino, il Negroni sarò proposto, insieme ad altri cocktail, tra cui l’Americano, con i prodotti della gamma Martini Riserva Speciale, creati con ingredienti selezionati dal master herbalist Ivano Tonutti, come le tre varietà di artemisia coltivate a Pancalieri, un piccolo paese alle porte di Torino, la camomilla romana che aggiunge note aromatiche al vermouth e il sandalo rosso proveniente da Sud Africa e India, che conferisce il tipico color rubino alla variante Martini Riserva Speciale Rubino. Il tutto completato da vini piemontesi come il Moscato d’Asti e il Nebbiolo. La lavorazione segue tuttora un metodo tramesso per oltre 150 anni da una generazione all’altra di master blender, fino ad arrivare all’attuale, Beppe Musso. Un aspetto importante dell’evento milanese è stato la presentazione dello studio di Niki Segnit sul sapore amaro, “Ama l’amaro”. In pratica, un’esplorazione visiva nel mondo dell'amaro che mira ad ispirare consumatori, bartender e chef affinché prendano in considerazione gli ingredienti amari e le innumerevoli possibilità di combinarli in modo creativo. “Questo visual è uno stimolo per esplorare nuove vie. Il rimedio naturale agli ingredienti amari è bilanciarli con qualcosa di dolce, con un pizzico di acidità o un po’ di grasso – spiega la palatologa inglese -. Se si gioca, ad esempio, sul gusto agrodolce, si apre il dibattito su abbinamenti alimentari innovativi come ad esempio indivia e pompelmo, caffè e mirtillo rosso, radicchio e noce. L’idea è quella di stimolare l'immaginazione nel creare nuovi piatti, bevande e guarnizioni per cocktail”.
Anche perché c’è sempre più interesse verso cibo e bevande con questo gusto, ad esempio il caffè o la birra artigianale e, naturalmente, il Negroni. In passato i produttori cercavano di mascherare questo sapore “addolcendolo” per andare incontro ai gusti dei consumatori, ora invece, l’interesse per gli ingredienti più naturali e biologici, che spesso sono amari, si è tradotto in una maggiore accettazione di questo sapore come parte di qualcosa di autentico. Più consumiamo bevande e cibi amari, più sviluppiamo un gusto per gli stessi. E, così, l’amaro genera l’amaro. In Italia si cresce con la cultura del caffè nero forte, degli amari e digestivi e quindi è proprio qui che più facilmente si sviluppa l’abitudine a questo gusto. Inoltre, la nostra cucina utilizza da sempre prodotti naturali amari: olio extravergine di oliva, radicchio, basilico e rosmarino, mandorle amare. L’amarezza è un gusto “semplice” per gli italiani. Questo sapore, inoltre, è una qualità intrinseca all’aperitivo perché pensato per stimolare l’appetito. È per questo che la lunga tradizione dell’aperitivo in Italia è inscindibile da drink amari come il Martini Negroni. Questa è un’abitudine consolidata nel nostro Paese, ma solo ora si sta diffondendo in Europa. Qui è più recente l’interesse verso gli alimenti vegetali, da cui deriva una grande parte dei sapori amari del mondo.
Poi c’è stata Valentina Arzilli dell’azienda La Perla di Torino che dice: “L’amaro è un sentore fondamentale nel cioccolato. E’ per questo che il nostro pastry chef Filippo Novelli ha creato un tartufo fatto di massa di cacao dell'Uganda, fava di cacao dal Guatemala e nocciola trilobata che si abbina per assonanza di sentori con il cocktail Negroni. Un tartufo dai sentori amaricanti e acidi e con una lunghissima persistenza retrolfattiva di caldo aroma di cacao. Il palato rimane pulitissimo. Un pairing in grado di esaltare al meglio le caratteristiche organolettiche del drink”. Pensando a come continuerà a svilupparsi la tendenza dei sapori amari nel 2019, Niki Segnit afferma: “Penso che il desiderio di cibi amari possa solo crescere, in particolare alla luce della tendenza verso una riduzione degli zuccheri e della crescente popolarità delle diete a base verdura. Chi lo sa? È probabile che tra qualche anno i nostri figli ci supplicheranno di cucinare i cavoletti di Bruxelles per cena”.