Non ha l’aspetto rassicurante della cucina della nonna, non ha nemmeno la succulenza unta dello street food metropolitano, ma “Etna”, l’arancino nero di Dario Di Liberto, unisce in un modo così sorprendente la tradizione e la creatività, il gioco dell’apparenza con una sostanza dalle spalle gastronomicamente parlando ben larghe e robuste, da meritarsi il premio di miglior arancino della provincia di Ragusa.
Appena trentenne e già promettente punta emergente nella vivace dimensione gourmet del sud est, Dario Di Liberto è riuscito, con un lavoro sobrio, silenzioso, ma con una visione chiara e determinata, a fare del ristorante dell’hotel Montreal di Ragusa una specie di “tana” per chi vuole rifugiarsi a una tavola accogliente senza troppa prosopopea. Qui ha trasferito ormai da qualche anno la sua creatura, il Ristorante Tocco che era nato a Marina di Ragusa come una specie di grande e fantasiosa officina della cucina di mare: e il mare è rimasto, in effetti, nell’inclinazione delle sue ispirazioni e in gran parte delle voci del menu, ma il trasferimento di quota lo ha coinvolto a tal punto che “Etna” è diventato il piatto simbolo della sua cucina.
(Lo chef Dario Di Liberto)
Un simbolo così potente ed evocativo da meritare un supporto a sé, nero e sinuoso come le onde di roccia che annunciano da lontano l’avvicinarsi dell’Etna, rivestendosi pian piano del grande respiro dei boschi. Come sulla Montagna arrivano però le brezze del Mediterraneo, anche nel piatto arriva l’influsso del mare.
Ecco allora l’arancino, con il riso mantecato al nero di seppia e farcito di ragù di salsiccia, chiuso in una crosta croccante come la lava ancora tiepida e disteso su una vellutata di verdure selvatiche, con un’insalatina di seppia accomodata sopra, a rassicurare sui misteriosi equilibri tra le contraddizioni della natura.
Dalle viscere della terra alla delicatezza del mare, dal fuoco all’acre frescura del verde mantello che lo tiene a bada, Dario Di Liberto dimostra che un cuoco può non solo raccontare, ma addirittura rappresentare plasticamente un luogo tra le creature della sua cucina. “Impossibile – confessa lui – da togliere dal menu. Perché anche se l’ho fatto qualche anno fa, quasi come un gioco, per un evento di street food che si teneva sull’Etna, suscita così tanta curiosità e piace così tanto, che gli ospiti continuano a chiedercelo”.
E voi la mangeresta un'arancina, o come la chiamano qui, un arancino al nero di seppia? In quali altri gusti “strani” l'avete provata? Fatecelo sapere condividendo questo articolo e commentandolo utilizzando l'hashtag #ArancinaDay
Santina Giannone