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Il prodotto

Al via il progetto per rilanciare la nocciolicoltura sui Nebrodi

14 Ottobre 2013
nocciolo nocciolo

Parlare di ripresa in grande stile del nocciolo in Sicilia è un’esagerazione.

Ma segnalare una rinascita di interesse per questa coltura è invece giusto. Anzi, è doveroso. E’ giusto perché una ripresa d’interesse c’è. E’ doveroso perché gli alberi di nocciolo – soprattutto nell’area della Sicilia dove sono tradizionalmente diffusi – contribuiscono a tutelare l’ambiente.

Per decenni quasi del tutto abbandonato, il nocciolo siciliano, soprattutto negli ultimi due-tre anni, segna, come già accennato, una lieve, ma significativa ripresa. Ci troviamo nell’area dei Nebrodi e, in minima parte, anche in qualche fascia dei Peloritani, tra Montalbano Elicona e Novara di Sicilia. Grosso modo, possiamo affermare che il nocciolo vegeta bene tra i 300-400 metri fino a 800 metri sul livello del mare. Anche se non mancano alberi di nocciolo a quote leggermente più basse.

A risollevare le sorti di questa coltura sono un gruppo di agricoltori del luogo che hanno già dato vita a un consorzio. E anche a qualche piccola attività di trasformazione del prodotto. E, perché no?, c’è pure l’opzione di qualche grande gruppo agroalimentare internazionale, interessato alle nocciole siciliane – o nocciole dei Nebrodi – che presentano caratteristiche organolettiche particolari.

Ma andiamo per ordine. Cominciando con dire che la crisi del nocciolo siciliano inizia, grosso modo, nei primi anni ’80 del secolo passato, quando, in barba all’allora vigente ‘Principio della preferenza comunitaria’, l’allora Comunità economica europea comincia a far entrare in Europa nocciole provenienti da Paesi extra-europei (soprattutto nocciole turche). Come si può notare, i problemi dell’agricoltura siciliana con l’Europa non sono di oggi. Allora organizzazioni agricole e produttori siciliani provarono a difendere il nostro nocciolo. Ne parlava sempre il compianto Cesare Di Vincenzo, allora ai vertici di Confagricoltura Sicilia.

Il prodotto extra-europeo piombava nei nostri mercati a prezzi ultra-competitivi. Impedendo, di fatto, ai nocciolicoltori siciliani di difendere le proprie produzioni. Già allora si segnalavano i danni che l’abbandono del nocciolo avrebbe provocato. Sì, l’abbandono, questa è la parola giusta. Perché non sapendo più a chi vendere le nocciole, i produttori dei Nebrodi e quelli delle aree peloritane hanno preferito non raccogliere più il prodotto. Evitando anche di effettuale le lavorazioni agronomiche per contenere, ad esempio, le infestazioni di ‘Cimiciato’ del nocciolo’, un insetto che danneggia sia il frutto, sia la pianta (spesso, in seguito alle punture di tale insetto, sopravvengono attacchi fungini).
Per la cronaca, va detto che, già di per sé, l’area dei Nebrodi è problematica sotto il profilo idrogeologico. Il sostanziale abbandono di questa coltura ha accentuato il dissesto di questo territorio, testimoniato, del resto, dai danni prodotti dalle alluvioni del 2009 e del 2011.

E oggi? Grazie alla passione e all’insistenza di un gruppo di agricoltori dei Nebrodi, la Regione siciliana ha finalmente fatto una cosa giusta. Mettendo a disposizione un po’ di risorse economiche prese dal Psr, sigla che per Piano di sviluppo rurale. Ci riferiamo alla Programmazione 2007-2013. Fondi che, almeno per ciò che riguarda il nocciolo, hanno prodotto un risultato utile. Le risorse finanziarie – non molte per la verità, ma significative, in una Sicilia dove i fondi per l’agricoltura, spesso, non vengono sempre impiegati con oculatezza – hanno cambiato, in pochissimo tempo, il volto della nocciolicoltura nebrodense. Ripetiamo: non sono stati chissà quali interventi, ma già la spollonatura e altre pratiche agronomiche, per decenni mai più attuate, hanno sortito effetti importanti e, lo ribadiamo, significativi. Si sono ridotte le infestazioni di ‘Cimiciato’ ed è stata ridimensionata la presenza dei ghiri, che in questi decenni di abbandono di questa coltura avevano ‘festaggiato’…

Pochi interventi, insomma. E la rinascita già si tocca con mano. E viene da chiedersi che cosa si potrebbe fare di una coltura come il nocciolo dei Nebrodi (e di una parte dei Peloritani, non lo dimentichiamo) se la pubblica amministrazione – soprattutto con i fondi europei – decidesse di puntare sulla valorizzazione di questo frutto. Oggi, insomma, la nocciolicoltura siciliana è in lieve ripresa. Difficile stabilire quanti ettari interessa oggi questa coltura. Anche perché non si conoscono con esattezza i danni prodotti da anni di quasi abbandono di questa coltura. In ogni caso, oggi, in Sicilia – con particolare riferimento all’area dei Nebrodi – la superficie investita a noccioleti dovrebbe attestarsi tra gli 11 mila e i 12 mila ettari. 

In un prossimo articolo ascolteremo la testimonianza di un nocciolicoltore un po’ particolare: si tratta del professore Matteo Florena, già docente al Policlinico di Palermo, oggi in pensione, tornato nei luoghi della sua infanzia, dalle parti di Ucria, piccolo centro del Messinese che ha dato i natali a personaggi importanti della vita pubblica siciliana: dall’ex Ministro Nino Gullotti, per oltre un trentennio leader della Dc siciliana, fino al padre del professore Florena, che fu senatore della Repubblica. Il professore Florena ci racconterà, in una prossima intervista, la sua avventura di nocciolicoltore e le virtù nutrizionali del nocciolo dei Nebrodi. Noi, oggi, ci limitiamo a qualche ‘pennellata’. Ricordando, ad esempio, che le nocciole dei Nebrodi sono particolarmente ricche di Selenio, sostanza antiossidante e, quindi, importante per prevenire i fenomeni di invecchiamento. Per non parlare degli acidi grassi insaturi della serie omega 3, molto importanti nella prevenzione delle patologie cardio-vascolari.

Il nocciolo siciliano è importante, anzi centrale, per il Distretto della pasticceria siciliana. Un prodotto di qualità che si lega alla tradizione. Un passato che trent’anni di abbandono di questa coltura hanno appannato, ma non eliminato. Si tratta soltanto di immergersi nella storia di queste contrade. Per scoprire, ad esempio, che in ogni piccolo o medio centro di questi luoghi del Messinese toccati dall’albero del nocciolo c’è una tradizione dolciaria che potrebbe essere rinverdita e riproposta dal Distretto della pasticceria siciliana. Basti pensare ala ‘Pasta reale’, naturalmente di mandorla, di Tortorici. O ai torroncini – ovviamente sempre di mandorla – di Ucria. E l’elenco potrebbe continuare. Oggi, sui Nebrodi, opera una piccola azienda che trasforma il prodotto. E c’è anche l’interesse dei grandi nomi della pasticceria siciliana e di qualche importante gruppo nazionale. Ma di questo e di altro parleremo in un prossimo articolo. 
 

Giulio Ambrosetti