(Michela Berto e Paolo Petroni)
di Michele Pizzillo, Milano
Cinque premi, a tre operatori dell’enogastronomia e a due giornalisti, sono i riconoscimenti assegnati dall’Académie Internationale de la Gastronomie e consegnati da Paolo Petroni, vice presidente dell’Académie e presidente dell’Accademia Italiana della Cucina (istituzione fondata a Milano dallo scrittore Orio Vergani con un gruppo di qualificati esponenti della cultura, dell’industria e del giornalismo il 29 luglio del 1953) presso il nuovo ristorante di Carlo Cracco a Milano.
Questi i vincitori dei prestigiosi premi nazionali assegnati dall’Aig:
- “Prix Au Chef de l’Avenir” a Cristoforo Trapani (ristorante La Magnolia dell’Hotel Byron di Forte dei Marmi), campano non ancora trent’enne con esperienze nei più grandi ristoranti italiani ed europei.
- “Prix Au Chef Patissier” a Fabrizio Galla (Pasticceria e Cioccolateria di San Sebastiano da Po) che nel 2007 ha vinto la coppa del mondo di pasticceria a Lione con la torta Jessica.
- “Prix Au Sommelier” a Michela Berto (ristorante San Martino di Scorzè), perfetta padrona di casa di un ristorante premiato con la stella Michelin.
- “Prix de la Littérature Gastronomique” a Davide Paolini (giornalista e scrittore) che ha coniato lo pseudonimo “Il Gastronauta” per definire colui che ha scelto di mangiare con la propria testa.
- “Prix Multimedia” a Paolo Marchi (giornalista) ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose, il primo congresso italiano di cucina d’autore e del magazine internazionale di cucina.
Quest’anno, però, “non abbiamo candidato nessuno al più prestigioso premio che l’Aig riservato agli chef, avendo premiato Enrico Crippa l’anno scorso – ha detto il presidente Petroni –. Abbiamo preferito che il premio fosse assegnato allo chef di uno dei 23 paesi che fanno parte dell’Académie”. Ha aggiunto Petroni: “Quello dello chef è un premio prestigioso però anche i premi nazionali sono importanti, per la selezione che fanno le delegazioni regionali dell’Accademia Italiana della Cucina”.
(Davide Paolini e Paolo Petroni)
Dalle esperienze fatte e raccontate dai singoli premiati nel corso della cerimonia, c’è da dire che è emerso uno spaccato molto realistico dell’attuale stato della cucina italiana. Sicuramente è stato Paolini a parlare senza peli sulla lingua dicendo “che l’immagine ha superato il contenuto del piatto e, molti, frequentano i grandi ristoranti più per farsi selfie o farsi fotografare o, ancora, fotografare piatti che mettono in rete in tempo reale”. Qualcosa che aveva già anticipato la scrittrice Rosalind Coward che nel suo libro “Female Desire. Women’s sexuality today” nel 1984 parlava di foodporn perché, scriveva: l’estetica del piatto è ciò che conta, chi l’ha cucinato e come è stato cucinato sono fattori marginali, è importante il desiderio che quell’estetica può suscitare, un desiderio paragonabile a quello sessuale. Nel suo intervento Davide non ha risparmiato nessuno, i media, i grandi chef, masterchef che ha definito un gran bello spettacolo ma non un programma di cucina e poi il colpo finale con l’affermazione che la cucina italiana la dominano una mezza dozzina di aziende di distribuzione dei prodotti alimentari che riescono ad imporre la moda di questo o quest’altro ingrediente. Insomma, un quadro impietoso e, probabilmente, preoccupante sul futuro della nostra cucina.
(Fabrizio Galla e Paolo Petroni)
Interessanti anche le esperienze personali raccontate dallo chef, dal sommelier e dal pasticcere. Con Michela Berto che dice: “Avevo giurato che non sarei mai andata in sala” e, invece, dal 2003 è una presenza che ha fatto crescere sempre di più un locale a gestione familiare che risale agli inizi del 900, in un territorio fantastico ma, al tempo stesso, anche un po’ faticoso per chi decide di impegnarsi per fare sempre meglio. Mentre Fabrizio Galla, dopo un soggiorno negli Stati Uniti e aver frequentato i migliori ristoranti europei, sceglie di intraprendere un percorso tutto personale, con una pasticceria aperta in un centro di solo 2.000 anime. Bello, anche il paragone tra il “rubare” a chi ti gira le spalle – nel laboratorio probabilmente per non farti vedere come lavora – e chi dona e Galla fa i nomi di Igino Massari e di Luigi Biasetto, incontro che gli ha cambiato la vita perché sono generosi nei consigli. E del dolce deristrutturato cosa ne pensa?, chiede il presidente Petroni. Risposta secca: “non è un dolce. Sono dei pezzi messi sul piatto che non permettono di assaporare un dessert equilibrato”.
(Michela Berto)
Il giovanissimo Trapani (fisico molto simile a due suoi paesani: Antonino Cannavacciuolo e Gennaro Esposito), che per motivi economici non ha potuto frequentare Alma, dove oggi insegna e fa gli esami agli allievi, dice che lo chef deve sapere cucinare tutto, cominciando dalle basi e dai piatti più semplici; solo dopo questo apprendistato può aspirare a gestire la cucina di grandi locali. Questa sua filosofia, Trapani l’applica al Byron, lussuoso albergo della Versilia, tanto che nel ristorante c’è pure il forno a legna per cucinare in tempo reale una buona pizza. E, poi, nel raccontare la sua storia professionale, ricorda la letterina che scrisse ad Heinz Beck per candidarsi a fare uno stage a La Pergola. Immediata la risposta, positiva. Infine, da sottolineare che Trapani ha impostato una cucina che alterna piatti a base di prodotti locali e quelli fatti con ingredienti che seleziona la mamma a Piano di Sorrento che poi spedisce a Forte dei Marmi.
Infine, Carlo Cracco che racconta il suo ristorante in Galleria, illustra il menù e anticipa lo “sbarco” a Milano di Joel Robuchon che aprirà un ristorante in un posto particolare, il casello daziario dell’Arco della Pace, a ridosso di Parco Sempione. Robuchon è arrivato da Cracco mentre questi stava facendo servire i piatti preparati per il pranzo voluto dall’Accademia italiana della cucina: uovo soffice alla barbabietola, lattuga, yogurt e caviale; risotto mantecato al pomodoro giallo, astice e piselli; trancio di dentice arrosto, petalo di pomodoro farcito, zucchine e menta; dessert al mascarpone, fragole e biscotto alle mandorle, con il Pinot bianco 2016 di Aneri e il Pinot nero 2016 di Anselmet in abbinamento.