di Daniele Cernilli – Doctor Wine
Nel corso della realizzazione della nuova Guida Essenziale ai Vini d'Italia, ho provato a proporre a tutti i collaboratori di sostituire il termine “minerale” con altre definizioni. Trovo quel descrittore inflazionato, poco chiaro e usato in senso traslato, perciò fondamentalmente assai discutibile.
Qualcuno è stato d’accordo e qualcun altro no. Allora propongo a tutti, voi lettori e loro collaboratori, quanto scrive sull’argomento il professor Luigi Moio, docente di enologia all’Università Federico II di Napoli e consulente enologico di molte aziende. Dopodiché la discussione è aperta e libera, ovviamente.
“Il termine “minerale” è nato in Alsazia, essenzialmente per descrivere alcune note del riesling che come è noto è spesso caratterizzato da note di kerosene, dovute principalmente all'1,1,6-trimetil-1,2-diidronaftalene (TDN). Da lì il termine è stato adottato anche in Borgogna, ed associato spesso all'odore della pietra focaia, cioè la pietra adoperata per produrre scintille necessarie ad accendere la polvere da sparo. La pietra focaia più usata è la pirite, che sfregata con l'acciarino produce scintille. Ma la pirite è costituita da disolfuro di ferro, che se riscaldato emette una miscela di solfuri dal classico odore di “ridotto”. Quindi la nota di pierre à fusil, che ricordo negli anni trascorsi in Borgogna e che spesso veniva associata alla mineralità, non è altro che un sentore solfureo dovuto ad una lievissima riduzione che effettivamente ricorda anche odori terrosi. Naturalmente queste note immerse nella ricchezza aromatica dello chardonnay, o in Alsazia, del riesling, gewürztraminer, muscat, sono anche estremamente piacevoli. Da noi con il termine “minerale” la confusione regna sovrana. I minerali sono i costituenti della crosta terrestre, sono quasi tutti solidi a temperatura ambiente, presentandosi sotto forma cristallina. Il suolo, in senso stretto, non si sente in nessun vino al mondo, dato che i minerali non sono volatili e sono dunque inodori. L'odore che è possibile percepire annusando una pietra, per esempio uno scoglio nel mare, è dovuto all'eventuale presenza di contaminanti organici. Lo zolfo stesso è un non metallo inodore e insapore. La sua forma più nota e comune è quella cristallina di colore giallo intenso. Solo in seguito alla sua combustione avviene una reazione con l'ossigeno con produzione di anidride solforosa che, invece è odorosa.
In uno studio condotto da un gruppo di ricercatori francesi della Borgogna che aveva lo scopo di comprendere come gli esperti concepiscano il carattere di mineralità, e se vi sia consensualità nel suo giudizio, è emerso l'assenza di una definizione sensoriale univoca e significativa per questo descrittore.
Dunque il suo significato sensoriale non è del tutto chiaro anche se molto di moda, perché probabilmente richiama un rapporto quasi fisico con un luogo soddisfacendo quella ricerca delle origini. Anch'io lo uso, ma associato maggiormente all'acidità, alla purezza sensoriale estrema, soprattutto in riferimento al vino bianco. La purezza incontaminata del minerale che sfida il tempo. Un vino con note minerali è per me un vino purissimo e incontaminato nel quale il processo di decadimento olfattivo è rallentato al massimo, e lo spazio temporale della vita del vino nel quale è possibile riconoscere i caratteri sensoriali riconducibili all'uva di origine e, nel caso dei cru alla vigna di origine, è dilatato il più possibile.”
E voi cosa intendete quando dite che un vino è “minerale”?