Da sinistra Marco Sabellico, Franco Maria Ricci, Fabio Giavedoni,
Ian d'Agata e Enzo Vizzari
Etica, prezzo, qualità, sostenibilità, consumi: queste le tematiche che ad Erbusco, in Franciacorta, produttori e i più autorevoli critici e giornalisti del mondo enogastronomico hanno affrontato insieme per sondare il tema del futuro del vino di qualità.
Si sono riuniti nella sede di Ca’ del Bosco. A fare da padrone di casa, il fondatore della cantina e presidente del Consorzio Franciacorta Maurizio Zanella, che ha indetto la tavola rotonda su una delle questioni che premono di più il mondo del vino, alla luce delle attuali dinamiche, e future, del mercato internazionale. Il fondo della riflessione è stata la questione del biologico o del vino naturale, oggi considerata da una gran parte del pensiero enologico come conditio sine qua non del vino di qualità. Il dibattito ha visto emergere riflessioni sull’efficacia di questo approccio di produzione in vista delle normative vigenti e anche delle risposte del mercato, del consumatore medio. Ci si è domandato anche quale sia il ruolo che la tecnica o la scienza possano giocare sulla qualità. Come ha detto nel suo intervento Marco Pallanti, l’ex presidente del Consorzio Chianti Classico e titolare di Castello di Ama: “Vi sarebbe oggigiorno il pericolo del ritorno ad un empirismo come pseudo scienza”. Ciò che garantirebbe la qualità per il presidente-produttore starebbe nell’operato di quei “produttori che vedono il vino come frutto di un’attività agricola”. “Non esistono marchi che possano certificare la qualità – spiega Pallanti -. Anche se esistono le denominazioni, all’interno di queste possono esserci vini buoni e cattivi. Il marchio della denominazione di origine è solo una carta d’identità”.
Angiolino Maule e Maurizio Zanella
Per Angiolino Maule, produttore sulle colline di Gambellara, in provincia di Vicenza, esponente di spicco nel movimento del vino naturale, il futuro del vino di qualità dipende prima di tutto dal suolo. “I problemi derivano tutti da lì, dalle condizioni del suolo – ha esordito Maule -. La vigna non è standardizzata. E il biodinamico deve essere visto solo come un punto di partenza”. Le vigne però non sarebbero realtà a se stanti, quelle coltivate in biodinamico, risentono le influenze del mondo in cui sono inserite. “In Europa – aggiunge infatti Maule – sono 115 milioni gli ettari coltivati e solo il 3 per cento lo è a vigneto. Ma questo tre per cento assorbe il 25 per cento di tutti i pesticidi usati in agricoltura”.
Un’altra realtà dei fatti è la divisione che c’è nel mondo del vino in termini di filosofia produttiva, una mancanza di coerenza e di sistema. Come ha precisato Zanella: “Ci sono tanti attori che hanno fatto scelte diverse. C’è chi ha azzerato gli interventi tecnologici e altri che hanno continuato ad utilizzarli”.
E di etica, altro risvolto della medaglia della qualità del vino, parla Marco Sabellico curatore della Guida ai Vini d'Italia del Gambero Rosso. “Oggi si cerca autenticità, salubrità e fedeltà al territorio. Il regolamento sui vini biologici è frutto di un compromesso adesso anche attento alla sostenibilità e questo concetto implica un atteggiamento etico, come pagare gli operai, pagare le tasse, attenzione agli sprechi”.
Se da un lato sulla qualità si decide il destino nel mercato dall’altro ci sono i conti da fare con questo. Il 38% della popolazione ha rinunciato a bere vino. Il dato lo ha dato e discusso Enrico Finzi, sociologo presidente di Astra Ricerche. “Non c’è più posto per tutti – commenta -. Si registra un’insofferenza per la vastità dell’offerta, per il troppo marketing e la retorica delle retroetichette, per il modo di presentare il vino”. Chi produce vino deve anche pensare alla percezione che di questo ha il consumatore, al modo in cui è cambiato l’approccio al vino. Cresce la sensibilità sull’aspetto organolettico e in particolare al profumo. “Per quindici anni si è sostenuto che l’odorato fosse uno dei cinque sensi che stava morendo, invece sul profumo si è sempre più attenti”. Sul fenomeno del biologico le analisi condotte da Vinzi rilevano alcune problematiche. “La prima è che a fare vino biologico in questa nicchia sono oramai tanti. Non c’è più l’esclusività. La seconda questione è che gli enti di certificazione non godono più di credibilità. C’è poi il problema del prezzo, della qualità non percepita e che la gente non è più disponibile a pagare di più”.
Vigneti Ca' del Bosco
La leva da cui dipenda però il futuro del vino è la comunicazione. Per Franco Maria Ricci, patron dell'Ais Roma e direttore di Bibenda “si dovrebbe creare una squadra Italia per il mondo del vino che possa comunicare e spiegare il vino”.
Per Enzo Vizzari, il direttore delle Guide de L’Espresso bisognerebbe ripensare ad una nuova grammatica del vino e anche ad una valutazione di questo che sia laica. “Parla il bicchiere, la bottiglia, neanche l’etichetta – ha detto -. Ci sono aspetti che vanno considerati e che aiutano a raccontare il vino ma non posso condizionare la valutazione della sua qualità. Il vino buono è quello che da emozione”.
Nel valutare le prospettive dell'apporto della cultura del biologico alla qualità del vino si è anche valutato un dato sul fenomeno aggiornato. Si evince un rallentamento nel trend di crescita di questa nicchia nel 2011, come è stato anticipato all'incontro da Marco Baccaglio, l'esperto dei numeri curatore del blog I Numeri del Vino. “Non tutte le regioni hanno adottato il biologico. Il Nord Italia sta sotto il tre per cento come superficie coltivata in questo regime. Rispetto all'anno precedente in generale diminuiscono gli ettari”. Probabile effetto della crisi che porta il consumatore a non essere disposto a pagare prezzi alti.
F.C.