di Fabio Cimmino
Ho letto con molto interesse le riflessioni a caldo apparse su Winesurf a firma di Carlo Macchi in merito agli assaggi di “Taurasi Vendemmia 2008”.
Vorrei qui riportarne uno stralcio, che ritengo significativo, sul quale però non posso assolutamente essere d’accordo e cercherò di spiegare anche il perché.
Il passaggio al quale mi riferisco è il seguente:
“Assaggiando alcuni Taurasi 2008 (ma pure 2007 e 2006) mi venivano in mente tanti Barolo dal 1996 al 2001 e molti Brunelli e Supertuscan dello stesso periodo. Vini assolutamente ineccepibili per concentrazione, lunghezza e spalla ma
assolutamente monolitici e spesso imbevibili, senza gamme aromatiche che non fossero quelle del legno, senza possibilità di allargarsi e di esprimere profumi e caratteristiche del vitigno di provenienza e non di un “qualsiasi vitigno che dà vini potenti”. In un momento in cui i legni diminuiscono, le concentrazioni cercano umanità ed eleganza e le
caratteristiche dei vitigni tornano ad essere considerate un fattore basilare, nel Taurasi molti stanno seguendo, in assoluta buona fede (ed alla fine rischiando di rimetterci di persona) strade già battute e abbandonate da altri. Non in tutti per fortuna, ma in diversi questa moda “dell’eccedere” è presente e, mi dispiace molto ma non posso non rilevarla”.
Premetto che ho molta stima di Macchi, degustatore e giornalista (mi sono, ad esempio, perfettamente ritrovato nel suo ultimissimo pezzo in cui propone un intelligente ripensamento, proprio, sulle anteprime: http://winesurf.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=1314) , non dico certo questo per piaggeria ma solo al fine di evitare che dalle mie
osservazioni possa scaturire sterile polemica e sollecitare, piuttosto, un (eventuale) confronto davvero costruttivo. Le affermazioni di Macchi portano a paragonare tra loro denominazioni con numeri, oltre che storia, profondamente diversi. I produttori ed i vini dell’intero areale di Taurasi sono meno della metà di Montalcino ed una frazione ancor ben più
insignificante rispetto ad altre denominazioni da lui citate come Barolo ma penso allo stesso Chianti giusto per rimanere nella sua regione. Ma siamo davvero così sicuri che Barolo, Chianti, Montalcino e Supertuscans abbiano davvero archiviato la fase degli eccessi cui Macchi fa riferimento e che ha caratterizzato in particolar modo il quinquennio 1996-2000 ?!
Io dico sicuramente sì ma solo in parte. Ancora oggi mi capita, non di rado, di imbattermi in vini targati Barolo piuttosto che Brunello o Supertuscan che sembrano a quel tipo di modello non aver mai rinunciato (così come mi capita di bere, con la stessa frequenza, dei gran bei vini prodotti in quelle stesse zone in quello stesso periodo). Ma spesso anche esordienti che quel modello ricalcano per scelta o a quel modello hanno scelto di ispirarsi per pura convenienza commerciale. Perché, amici miei, ci sono ancora molti mercati dove questo tipo di vini sarà pure stato sorpassato ma dove i consumatori continuano a chiederli e comprarli (interrogate a tal proposito qualche serio importatore straniero che possibilmente non sia stato ancora illuminato sula via del bio-logico-dinamico-naturale… ma sia rimasto coi piedi ben piantati a terra e il cuore ancora ben ancorato al portafogli…).
L’era Parker non mi sembra ancora definitivamente tramontata. Del resto penso che, al di là di mode e le tendenze passeggere, ci sarà sempre posto per tutti i i tipi di vino possibili ed immaginabili: potenti e muscolosi, “monolitici” per intenderci alla Macchi, come per quelli più complessi ed eleganti che probabilmente molti di noi preferiamo.
Ma torniamo al povero Taurasi. Non che siano tutte rose e fiori. Come io stesso ho sottolineato ci sono ancora diversi limiti da superare in primis la diffusa consuetudine sul territorio di affidarsi al consulente enologo esterno che si traduce in tre massimo 4 nomi in tutto. Rivedere, dunque, la cifra stilistica nella produzione dei vini affrancandosi dalla mera tecnica così come ripensare la politica dei prezzi non è più solamente auspicabile ma ormai non più rimandabile. Ma da qui ad affermare che tra i 60 campioni degustati ci fossero molti (anche se in realtà Macchi esordisce con “alcuni” ?!) che stanno seguendo “strade già battute e abbandonate da altri” mi pare esagerato e non condivisibile, una forzatura.
Ogni anno anno i miglioramenti all’interno della denominazione sono evidenti e sempre più tangibili. Che poi ci siano dieci ma anche venti campioni su sessanta che facciano scattare il classico dejà vù è quasi normale. Per me
questo accade anche quando bevo Barolo, Chianti e Supertuscan solo che in quel caso i venti campioni “da falegnameria” si perdono in numeri ben più consistenti ed alla fine in termini percentuali danno ragione a Macchi.
Alla fine, però, mi rimane, comunque, il dubbio, caro Macchi, se erano “alcuni” o erano “molti”, se “non in tutti” oppure “in diversi”?
Con sincera stima e un sorriso.