di Simone Cantoni
Ricetta umbra forse non tra le più conosciute, quella delle salsicce all’uva risulta tanto semplice da apparecchiare quanto capace di assicurare al palato un “pieno” di autentico piacere.
Certo, non si tratta di un piatto da regime ipocalorico: meglio, come minimo, goderne nelle stagioni più fredde, quando la macchina del nostro corpo ha oggettivamente maggior bisogno di carburante; e d’altra parte, per la sua stessa composizione, chiama alla mente il periodo successivo a quello delle vendemmie, quando i grappoli prelevati dai filari in vigna mettono a disposizione i propri chicchi per le gioie della tavola.
SALSICCE ALL’UVA: PRONTE IN UN BALENO
Si diceva della facilità della preparazione: estrema, senza ombra di dubbio. Il che – vale la pena sottolinearlo – mette ancor più in evidenza una premessa fondamentale: il livello degli ingredienti di base. I quali, essendo pochi e davvero minimamente elaborati, devono contenere un pregio intrinseco in termini di qualità e di fattura. Vediamoli, dunque, i “mattoncini” di questa prelibatezza: salsicce fresche, uva a bacca bianca di buon contenuto zuccherino, semi di finocchio, cipolle, sale e pepe. Ed ecco come assemblarli: sistemare in una padella la cipolla tagliata a fettine e qualche seme di finocchio, per poi rosolare su questo fondo, a fuoco vivace, le salsicce di cui aver prima forato il budello con uno stuzzicadenti (per evitarne rigonfiamenti e magari piccole esplosioni). Trascorsi cinque minuti, unire al tutto l’uva, schiacciandola con una forchetta e proseguire, sempre a fornello “arzillo”, per altri cinque minuti. Abbassare a quel punto la fiamma, mantenere al calore per una ventina di minuti ancora, aggiungere (se necessario) sale e pepe, quindi impiattare a temperatura ben calda.
IL BOCCONE AI RAGGI X
Dotato di una notevole densità sensoriale, per prima cosa il piatto caldeggia, in abbinamento, una birra di pari energia. Inoltre la sapidità e la piccantezza che caratterizzano la spinta gustativa “cercano” una sorsata morbida, priva di amaricature significative e, semmai, dotata di buona acidità; utile, quest’ultima, anche a gestire sia la cospicua materia grassa in circolo al palato sia le note olfattive potenzialmente divisive: ovvero quelle animali e agliacee, corrispondenti rispettivamente, alla carne e alla speziatura dell’insaccato. Infine, occorre tener conto dell’abbondante produzione di composti di Maillard (quelli che costituiscono le crostificazioni, in poche parole): un effetto dovuto alla compresenza, sotto l’effetto del calore, di zuccheri (l’uva) e proteine (il salume); ecco, alla luce di quest’aspetto, un buon gioco di ripresa nasale induce a puntare su “pinte” esse stesse provviste di temi tostato-caramellati. Con “a monte” tutto ciò, arriviamo dunque al sodo: le tre prove di combinazione che abbiamo messo in pratica.
CON LA WEIZENBOCK
Subito un incontro ad alta intensità. All’angolo “brassicolo”, sul ring sale la ambrata “Aventinus” di casa “Schneider” (Kelheim, Baviera): la matriarca della tipologia d’appartenenza, quella delle “Weizenbock”. Dotata di una gradazione (8.2%) e di una bollicina entrambe incisive, nonché di una tipica acidulità da Weisse, la birra affonda le zanne nella materia lipidica del boccone, rendendola facilmente assimilabile e dando respiro al cavo orale. Inoltre, sul piano gustativo, la sostanziale dolcezza della bevuta si armonizza assai fluidamente con il palpito sapido-piccante della pietanza; infine, le tostature del malto assecondano gli analoghi aromi da cottura della salsiccia, mentre le polposità fruttate della sorsata (banana ben matura, mirtillo) s’intrecciano piacevolmente con le fragranze da uva caramellata espresse dal piatto.
CON LA RAUCH DOPPELBOCK
Si sale agli 8 gradi e 3 con la seconda prova d’abbinamento: è il valore che l’etilometro riporta a carico della “Grand Cuvéè Fumé” firmata a Bolzano dal marchio artigianale “Batzen”. Una Doppelbock in versione “rauch” grazie al passaggio pre-confezionamento in botti precedentemente applicate alla maturazione di whisky. Meno carbonata, la birra deve forse metterci un minimo di impegno in più, rispetto alla Weizenbock, per fluidificare la nervatura grassa del salume: ma nessuna “faticcaccia”. Un pelo più insidiosa, invece, la maggior permanenza in circolo delle note agliacee della salsiccia; note che d’altra parte la sorsata quantomeno argina, e a tratti copre, con la pulsazione della propria affumicatura. Un tratto, questo, che peraltro “corteggia” e asseconda, in modo assai piacevole, i punti di più intenso abbrustolimento a carico della carne. Simile alla “ripresa” precedente, infine, la spirale armonica che s’innesca tra la lama sapido-piccante del boccone e la diffusa dolcezza della bevuta.
CON LA SOUR ALE
Chiudiamo con una produzione sperimentale: la “Opera” targata “Baladin” (Piozzo, Cuneo); frutto di una lavorazione che prevede l’integrazione del mosto, a due giorni dal termine della sua fermentazione, con aceto di birra. Al calice, si tratta di una bevuta che – al netto di una bollicina meno vibrante rispetto alla “Aventinus”; e dell’assenza di tratti affumicati, nel paragone con la “Grand Cuvéè Fumé” – compendia alcune caratteristiche salienti delle due “competitrici” che l’anno preceduta. Ovvero un naso costruito attorno a note tostate (calotta di dolce da forno) e disidratate (uvetta), che si fondono in evocazioni da Amontillado; un telaio palatale contraddistinto da una corrente acida ficcante (qui parecchio ficcante), da una gradazione muscolare (8.5%) e una solida dolcezza di fondo. Inutile dire che, per ragioni analoghe a quelle sottolineate in merito ai primi due “round”, anche la terza sfidante porta a casa un risultato decisamente positivo!
BIRRIFICIO BALADIN
Località Valle, 25 – Piozzo (Cuneo)
T. 340 6076351
www.baladin.it
info@baladin.it
BIRRIFICIO BATZEN
Via Andreas-Hofer, 30 – Bolzano
T. 0471 050 950
info@batzen.it
https://www.batzen.it
BIRRIFICIO SCHNEIDER
Emil-Ott-Strasse 1-5 – Kelheim, Baviera, Germania
T. 0049 94417050
www.schneider-weisse.de
info@schneider-weisse.de