di Simone Cantoni
Formaggio e miele; formaggio e birra; birre al miele.
Tre “binomi” decisamente consolidati nella percezione dei consumatori e degli operatori della gastronomia; tre combinazioni che potremmo azzardarci a definire “tradizionali”: o quantomeno, volendo restare prudenti, da considerare in un ideale elenco dei “nuovi classici”. Ebbene, sviluppando la logica di fondo sulla quale si fondano questi tre “abbinamenti di base”, si è rivelato un passo piuttosto automatico pensare di poter farli evolvere in una sorta di sintesi. Più o meno in questi termini: se il formaggio ben si sposa sia con la birra sia con il miele, allora darà un risultato analogo (forse migliore) accompagnandosi con una birra al miele. E dall’ipotesi teorica alla prova pratica, è stato un attimo…
LO STILTON: UN SIGNOR FORMAGGIO
Chiaramente, per procedere nel concreto, si è dovuto anzitutto dare un nome specifico al formaggio di cui si è finora parlato in una chiave solo generale. Avendo in mente un giro di abbinamenti “ad alta intensità”, si è puntato allora sul perimetro degli erborinati; e poi, al suo interno, si è scelto una tipologia ricca di storia e di pregio quale quella del Blue Stilton britannico. Tutelato, dal 1996, con la sigla DOP (Denominazione di origine protetta), si ottiene unicamente da latte vaccino pastorizzato in cui (a differenza di quanto avviene nello White Stilton) si inoculano opportune dosi di Penicillium Roqueforti: il fungo che, sviluppandosi in maturazione, disegnerà, all’interno della pasta, le caratteristiche striature di colore verdeazzurro. Quanto all’areale, la produzione “a marchio” è limitata alle contee inglesi (nelle Midlands Orientali) di Derby, Leicester e Nottingham; al proposito, tra l’altro, merita sottolineare come una tipologia casearia affine sia diffusa anche nel Cambridgehire: ma in tal caso, sebbene proprio lì si trovi il paesino eponimo di Stilton, il formaggio in questione dev’essere commercializzato con una designazione diversa. Sotto il profilo organolettico, abbiamo un boccone dalla consistenza morbida, dall’aromaticità tipica e divisiva (fruttata, floreale, fungina e sudorativo-plantarea), dal gusto intenso orientato al sapido-piccante, ma poggiante su un substrato di dolcezza (al quale contribuisce una frazione grassa pari almeno al 48% sull’estratto secco) e attraversato anche da una delicata acidulità. Un temperamento sensoriale al quale abbiamo affiancato tre birre al miele esse stesse “di carattere”…
CON LA HONEY BELGIAN BLOND ALE
Al via, ecco in pista una Honey Beer su base Belgian Blond Ale: è la “Honey Moon” del marchio “Gravità Zero”, a Giaveno (Torino), con il suo colore dorato carico e i suoi 6,8 gradi alcolici. Una pinta la cui condotta gustativa-palatale, improntata alle dolcezze del malto, asseconda le vigorie sapido-acide-piccanti della massa caseosa; riuscendo parallelamente a scioglierne (pur con qualche ansimo di fatica) la materia grassa, grazie al lavoro congiunto della propria bollicina e della propria gittata etilica. Quanto al “naso”, superfluo dirlo: la tracciante olfattiva della bevuta – di temperamento caramellato, fruttato e ovviamente mielato (da castagno e millefiori: le varietà utilizzate in ricetta) – si salda al profumo dello Stilton, evocando l’idea di un’aggiunta diretta di miele colato a gocce sulla superficie del formaggio.
CON LA HONEY DOPPELBOCK
Dal Piemonte alla Lombardia: dove, sulla piazza di Pagazzano (Bergamo), troviamo il marchio “Sguaraunda”, con la sua “Murator”, una Honey Beer (al castagno) sviluppata sul telaio di bassa fermentazione, per l’esattezza su quello di una Doppelbock, ramata nel colore e registrata su un dato etilico pari al 7,3%. Diciamolo subito: sul fronte olfattivo, l’effetto di questo secondo abbinamento ricalca quanto di positivo era stato proposto già dal precedente. Due i principali “momenti” di differenziazione. Primo: migliora la gestione delle densità lipidiche del boccone, grazie alla pressione esercitata dalla maggiore gradazione della birra, in alleanza a una carbonazione più o meno equivalente. La seconda divergenza, rispetto alla prima prova, è legata al comportamento gustativo della sosrata: dotata di una curvatura amaricante che, pur molto dosata, urta a tratti la “lama” sapido-acido-piccante dello Stilton.
CON LA HONEY IMPERIAL STOUT
L’ultimo assalto è da “campionato dei pesi massimi”. Sul ring, contro il nostro “campione britannico”, sale una birra della provincia lucchese: la “War is over”, una Honey Beer (al castagno e tiglio) di color ebano, giacché costruita su una struttura da Imperial Stout, con tanto di detonazione etilica, tanto che la lancetta misura un bel 10%. Partiamo dalle interazioni olfattive: molto buone, anche stavolta; con gli aromi birrari che fanno valere la loro notevole spinta, colorata anche da temi di caramello bruciato, frutta secca tostata e frutti disidratati. Passando agli altri capitoli dell’abbinamento, ancora più efficace il lavoro di fluidificazione, da parte della sorsata, sulle viscosità lipidiche del boccone; mentre il notevole residuo zuccherino della bevuta ricrea, e magari perfeziona pure, le armonie annotate a proposito del primo “giro di valzer”, quello con la Belgian Ale. Una bella chiusura, insomma; degno capolinea di tre prove in tavola tutte comunque assai interessanti…
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