di Simone Cantoni
Un caso tipico di “presbiopia culturale”.
Sì, la difficoltà nel mettere a fuoco le sagome degli oggetti più vicini all’occhio: ma applicata, metaforicamente, al funzionamento dell’immaginario collettivo. Nel quale, ad esempio, si percepiscono come “antiche” alcune tradizioni che, al contrario, hanno natali relativamente recenti. Ebbene, tale fattispecie trova un esempio assai chiaro nell’idea prevalente che si ha degli arrosticini: i bocconcini di carne cotti allo spiedo che sono tra i fiori all’occhiello, e tra i più efficaci ambasciatori, del costume alimentare abruzzese. Le loro origini possono sembrare risalenti a secoli addietro; e invece, andando a guardare meglio (allontanando lo sguardo, per restare alla nostra allegoria iniziale), si scopre che l’ideazione della ricetta è databile attorno agli anni Trenta del Novecento.
DI NECESSITÀ, VIRTÙ
Per l’esattezza, gli arrosticini nascono nel contesto della pastorizia largamente sviluppatasi lungo il fianco centro-meridionale della Penisola. Secondo la ricostruzione popolare, ad averli preparati per la prima volta, sarebbero stati – nella Piana del Voltigno (area montuosa situata a sudest del Gran Sasso, al confine tra le province dell’Aquila, di Teramo e di Pescara) – due allevatori di modesta condizione; i quali, mossi dalla necessità di non lasciar sprecato neanche un grammo di cibo, recuperarono della carne di pecore ormai vecchie, raschiandone anche le ossa, la tagliarono in piccoli pezzi e li cossero sulla brace dopo averli infilzati con rametti di legno.
UNO, DIECI, CENTO ARROSTICINI
Ancor oggi l’arrosticino considerato più autentico è quello di carne ovina; in particolare, se possibile, di “castrato”: ovvero un montone giovane (tra i sei mesi e i due anni) sottoposto a sterilizzazione; oppure una femmina, essa stessa giovane, che ancora non abbia ancora partorito. Tuttavia, non esistendo un disciplinare registrato, la versione ritenuta originale ha dato luogo a innumerevoli varianti. Ad esempio utilizzando polpe suine, bovine e, più raramente, anche di pollo e coniglio. Oppure ricorrendo al fegato, la cui odorosità acuta viene ingentilita con foglie d’alloro; o ancora alternando, ai bocconcini di carne, altre componenti, come frammenti di grasso o fette di cipolla. Più o meno concordi sono invece i pareri sulle proporzioni degli arrosticini (cubetti di un centimetro circa per lato); e sullo strumento di preparazione: piccole griglie “a canalina”, strette e allungate, commisurate a spiedini di 20 centimetri circa. Durante la cottura, diffusa è la consuetudine di aggiungere un po’ di sale e qualche goccia d’olio, così come di dare, di tanto in tanto, una “spolverata” con rametti di rosmarino.
IL BOCCONE AL MICROSCOPIO
Come definire, a fronte di tanta varietà d’interpretazioni, un arrosticino, dal punto di vista organolettico? Prendiamo la versione di base, quella di pecora. Avremo una consistenza non cedevole, ma neanche tigliosa; un’aromaticità varietale con cui fare i conti, perché la nota “ircina” non a tutti è così gradita; un’ulteriore spinta aromatica di tipo tostato e vagamente affumicato; una materia grassa tutto sommato modesta; un gusto intenso, tendente con risolutezza alla sapidità. Ecco: con questo profilo ci siamo confrontati e divertiti, al fine di sperimentarne i risultati in abbinamento, con tre birre di altrettanto diversa connotazione stilistica.
CON LA BOCK
Partenza prudente, ma non banale: in mescita una Bock storica per il movimento artigianale toscano, come la “Volpe”, prodotta, a Vaiano (Prato), nell’impianto di “Mostodolce”, uno dei due primi marchi “micro” del Granducato (fondato nel 2003, è coetaneo del pisano “Orzo Bruno”). La sorsata, con le sue morbidezze maltate, asseconda la sapidità del boccone; mentre con i suoi aromi di caramello e biscotto (specchio del caldo colore ambrato) riprende, dell’arrosticino, le olfattività tostate di cui abbiamo poc’anzi riferito. Quanto alla gestione della materia grassa, i 6 gradi tondi della birra, sostenuti da una bollicina viva, sono ampiamente sufficienti alla missione. Decisamente una buona collimazione.
CON LA SAISON
Si volta pagina con la seconda prova d’abbinamento. Che chiama sul palco una Saison: la “Scaramuccia” firmata, a Lodi, dal birrificio “The Brave”. Una versione dello stile di riferimento che si presenta, in mescita, con un vivace colore paglierino; e che dunque, al naso, porta note di panificato chiaro, più che di tostatura: piacevoli, comunque, nell’incontro coi profumi dell’arrosticino, che evoca l’idea di un secondo piatto accompagnato da un bello sfilatino. Quanto alla vena amaricante, c’è, sì, ma si esprime con delicatezza: nessun problema nell’incrociare la sapidità della carne, se la si sarà tenuta sotto controllo in cottura, usando con parsimonia la saliera (o addirittura rinunciandovi). Interessante, poi, l’azione esercitata dalla vena acidula della sorsata: utile non solo a gestire il (poco) grasso del boccone (su cui operano anche i 6.1 gradi alcolici); ma anche a smorzare l’intensa (e talvolta un po’ entrante) varietalità delle polpe ovine. Regole d’ingaggio del tutto diverse, rispetto alle prime; ma ugualmente interessanti.
CON LA SOUR ALE
“Sempre più in altoooo…”. In senso geografico, perché siamo a Lavis (Trento), dove sorge lo stabilimento del marchio “Maso Lato”; ma anche alludendo alla cosiddetta “asticella della provocazione”: perché, come ultima tipologia, si punta su una Sour Ale; anzi, per la precisione, su una Wild Sour Fruit Ale, la “Road to Damasco”. Motivo di tale classificazione? La birra nasce da un mosto di malto d’orzo e albicocche, affidato all’azione di fermenti vari e diversi, di natura anche non convenzionale. Ne esce una massa liquida dal colore dorato, i cui profumi fortemente rustici (lievito madre, ad esempio) insistono, nell’incontro col boccone, sul tema mentale “carne e pagnotta”; mentre la spiccata acidità del sorso (acetica, citrica e lattica in ordine crescente di rilievo) interviene con energia su due fronti: da un lato, lavora ancor meglio nel tenere a bada le esuberanze del sentore ircino manifestato dalla carne; dall’altro, unisce le sue forze a quelle dei 6 gradi alcolici nello smaltire la materia lipidica dell’arrosticino. Insomma, un abbinamento curioso e originale: certo, a patto di apprezzare l’olfattività decisamente selvatica della “Road”, nella quale troviamo argomenti quali il medicinale, la pelliccia animale il cuoio…
BIRRIFICIO MOSTODOLCE
Via Val di Bisenzio, 138/A; Via Nazionale, 114/R – Vaiano (Prato)
T. 0574 577030
www.mostodolce.it
info@mostodolce.it
BIRRIFICIO THE BRAVE
Via Genova, 2 – Lodi
T. 389 8787825; 0371 1921454
info@thebrave.it
www.thebrave.it
BIRRIFICIO MASO ALTO
Località Masi Alti di Pressano, 9 – Lavis (Trento)
T. 347 5834146
www.masoalto.com
info@masoalto.com