di Ambra Cusimano
La Camellia sinensis, conosciuta ai più come pianta del tè, è un ceppo vegetale originario della Cina.
Il termine sinensis in latino significa per l’appunto “cinese”. Nel vasto impero cinese il tè ricopriva un ruolo culturale. Si narra, infatti, che ogni nuovo imperatore imponesse alle famiglie nobiliari di servire il tè seguendo la nuova tecnica che imponevano lui e il maestro imperiale. Ciò implicava anche una modifica delle teiere, delle tazze, del modo di presentare e servire l’infuso. Da foglie e germogli della pianta si ricava il tè, nonché una delle bevanda più antiche e consumate al mondo. Ma un tempo queste foglie non venivano utilizzate solo per ricavare infusi, bensì venivano mangiate, cosa che avviene tutt’oggi in Myanmar (Birmania). In questo paese del sud-est asiatico le foglie, una volta pressate, vengono fatte invecchiare all’interno delle canne di bambù. Il momento in cui queste si spaccano indica che il tè è pronto per essere consumato. “Fino a non molto tempo fa i viaggiatori consumavano le foglie del tè per non addormentarsi durante i lunghi viaggi, rimanendo vigili in ogni istante così da essere pronti qualora i banditi si fossero fatti vivi – dice Salvatore Pellegrino, maestro del tè italiano che vive a Raddusa in provincia di Catania dove ha fondato La Casa del Tè – Grazie alle foglie del tè era possibile rimanere svegli 5 o 6 notti di fila per via della caffeina in loro contenuta”.
La storia del tè in Italia è assai lunga ed ebbe inizio con la dominazione araba in Sicilia. E’ risaputo ormai che quello fu un periodo storico florido durante il quale l’isola fu soggetta a numerosi esperimenti di agraria per la qualità del terreno e del clima. “Tra le piante che furono importate, per essere impiantate sul suolo siciliano, figurano gli agrumi, il carciofo, la canna da zucchero. La pianta del tè arrivò intorno al 950 d.C. grazie all’amicizia di un emiro con l’imperatore cinese. L’Etna ad esempio, che oggi è famosa per i suoi vini, un tempo era dimora di moltissime piantagioni di Camellia sinensis. Questo perché il terreno vulcanico si prestava alla coltivazioni di piante acidofile come quella del tè – continua Salvatore – Anche Goethe, grande viaggiatore, parlò delle piante del tè coltivate in Sicilia che scoprì durante un suo soggiorno alla fine del 1700. Quando si trovò sull’Etna, ospite in una ville nobiliari, assaggiò il tè prodotto dalle piante etnee e ne parlò in alcune lettere inviate alla madre. Si racconta anche che durante una passeggiata incontrò degli inglesi che avevano con loro delle teiere contenenti il loro tè. Allora li ammonì dicendogli: «Perché, essendo in Sicilia, non provate il tè che hanno qui? Perché dovete fare sempre gli inglesi»”.
Un altro aneddoto racconta di un nobile siciliano che tra il ‘700 e l’800 fece giungere a Messina un carico di semi di tè con l’aiuto del fratello che all’epoca rivestiva il ruolo di ambasciatore in Giappone. Da ciò ebbe inizio una coltivazione destinata al mercato inglese che però non ebbe successo. La tradizione di coltivare la pianta del tè venne interrotta in seguito all’Unità d’Italia, anche a causa degli alti costi legati alla manodopera. Durante il ventennio fascista invece, Mussolini bandì il caffè a favore del consumo dell’orzo italiano, ma concesse l’importazione del tè. Venne così fondata nel 1929 l’Associazione Tearia Italiana (Ati), gestita dalla Tabaccai Italiani, con lo scopo di occuparsi dello smistamento del tè che arrivava al porto di Genova nelle farmacie del nostro Paese. Oggi qualcuno come Salvatore Pellegrino, che di tè conosce vita morte e miracoli, ha deciso di coltivarlo come si faceva una volta. La sua produzione è limitata, ma la qualità è alta. La piantagione si trova a Raddusa, a pochi passi da La Casa del Tè che è possibile visitare e dove si può vivere l’esperienza della cerimonia del tè (previa prenotazione). “In origine – spiega Salvatore – avremmo voluto utilizzare l’antica varietà importata dagli arabi e che abbiamo ritrovato sull’Etna. Ma nel corso dei secoli questo “tè siciliano” si è imbastardito mediante moltissimi innesti con piante selvatiche per cui vi si trovano tracce di menta, origano e timo. Dopo averlo ripiantato, ci siamo accorti che i risultati non erano quelli sperati, poiché per le sue caratteristiche non è possibile miscelarlo con i nostri profumi di Sicilia. Le piante che abbiamo importato, d’altro canto, ci consentono di ottenere dell’ottimo tè verde che misceliamo con prodotti tipici siciliani come la mandorla di Avola, il verdello di Giarre, o ancora l’arancio sanguinello e il pistacchio di Bronte”.
La Casa del Tè
Via Giuseppe Garibaldi, 45 – Raddusa (Ct)
T. 095 662193