di Simone Cantoni
Da semplice metodo di conservazione a ricercata tecnica (con vette virtuosistiche) di arricchimento organolettico degli alimenti.
È la “parabola” dell’affumicatura. Una prassi elaborata originariamente per il mantenimento del cibo in condizioni di commestibilità, quale effetto combinato di due azioni: quella fisica esercitata dall’elevato calore e dalla conseguente disidratazione (entrambi parametri sfavorevoli alle contaminazioni da microrganismi); e poi quella chimica, legata alla formazione di sostanze, a loro volta antibatteriche, oltre che ossidanti (formaldeide, compost fenolici, acidi alifatici…), atte a generarsi in seguito al processo d’incompleta combustione di legna, purché caratterizzata da bassa quantità di resina (il che orienta verso varietà come faggio o quercia, escludendone altre come larice o abete). Insomma, un atto d’amore dell’uomo verso sé stesso, giacché verso la fonte del proprio nutrimento. Un amore che – al pari di quello espresso dall’anima e dal sentimento (è una traslazione forte; ma viene in mente il brano “fumo” del gruppo “Jarabe de Palo”) – nel tempo, con il progredire della nostra specie, si è fatto via via più raffinato, fino ad assumere i connotati di un’autentica arte: votata non solo ad allungare la serbevolezza di carni, pesce, formaggi e così via, ma anche – e, oggi, soprattutto – a conferire loro contenuti gustolfattivi supplementari. Un cerchio di passione che si estende ulteriormente e che si chiude, a tavola, con il suggello di un efficace abbinamento. Missione, questa, di grande responsabilità: alla quale abbiamo chiamato la birra, in una prova articolata su tre diverse ricette…
ZUPPA DI CIPOLLA E SCAMORZA CON UNA GRODZISKIE
Primo giro di giostra già impegnativo: una zuppa di cipolla con scamorza affumicata. Il boccone è di grande densità sensoriale, in virtù di una vigorosa cuspide bicefala di sapidità (il formaggio, la cottura) e acidità (la cipolla), peraltro levigata dalla dolcezza del tessuto lipidico di cui il boccone è provvisto, in virtù della fisiologica dotazione grassa del formaggio e dell’ulteriore apporto conferito dal burro utilizzato in ricetta. A fronte di ciò, è consigliabile tenersi a distanza da birre che si caratterizzino per uno spiccato finale amaricante; optando invece per tipologie dotate di buona bollicina ed esse di più o meno pronunciata acidità (funzioni entrambe utili a gestire l’appena citata densità lipidica del piatto), nonché provviste, nella migliore delle ipotesi, di una tendenza olfattiva affumicata: l’idea è quella di stabilire, nella successione morso-sorso, quella assenza di discontinuità nelle dominanti odorose che (a patto tali dominanti siano percepite come piacevoli) viene sperimentata quale elemento di armonia nell’abbinamento. Ebbene: le infinite vie del cosmo brassicolo, ci portano verso la Polonia, dove a Grodzisk è maturata nei secoli la scuola della Pivo Grodziskie: ottenuta a partire da un mosto di solo frumento (con affumicato. Detto questo, no, non abbiamo viaggiato fisicamente fino all’Europa Orientale; perché anche in Italia abbiamo chi si cimenta con questo stile: ad esempio il marchio “Lieviteria” (Castellana Grotte, Bari), con la sua “Wolowitz”, da 3,5 gradi alcolici. È proprio lei che abbiamo convocato a “bagnare” questo assaggio: e l’esame è andato benone!
FILETTO DI SALMONE E LICHTENHAINER
Si cambia registro: in tavola il pesce; per l’esattezza un filetto di salmone (affumicato, va da sé), guarnito di maionese e accompagnato da cipollotti al forno. Le regole d’ingaggio non sono dissimili dal round precedente: il boccone è grasso, di telaio gustativo dolce-sapido e provvisto di elementi acidi (qui portati anche dalla maionese). Elemento di differenziazione non trascurabile è, d’altra parte, una direzione odorosa complessiva alla quale, oltre all’affumicatura, contribuisce la componente ittica; la quale, com’è noto, può risultare insistente nella persistenza post-deglutizione: prudenza vuole che la si tratti con flussi di acidità (nella sorsata) sempre utili a restituire ordine e leggerezza al palato. Insomma, sebbene i “fattori” nel piatto siano in parte cambiati, il risultato, nella ricerca del bicchiere adeguato, restano invariati. Ovvero: bollicina vivace, acidità (meglio se spiccata, in questo caso), amaro da basso a nullo, un orientamento aromatico comprendente venature affumicate. Ecco, sul “tabellone da Risiko delle tipologie brassicole”, se prima siamo stati in Polonia, da qui ci spostiamo anella confinante Germania; entro i cui confini, a Jena (Sassonia), il sobborgo di Lichtenhain dà in natali allo stile delle Lichtenhainer, prodotta secondo una tradizione che prevede l’impiego di malto di frumento e d’orzo (il secondo in versione, appunto, “rauch”); e l’adozione di una fermentazione mista alla quale concorrono batteri lattici. Di nuovo, è stato possibile risparmiare il costo del viaggio: un buon esempio di Lichtenhainer è rappresentato infatti dalla “So Clinch” della scuderia “Bonavena” (a Faicchio, Benevento). Come sopra, una bevuta di bassa gradazione (siamo a 4,1 appena), ma ben in grado di assolvere il suo compito.
STRUDEL CON RICOTTA AFFUMICATA E PEATED SCOTCH ALE
“Termine corsa del treno”… La stazione del dessert, secondo il più classico dei copioni. Che poi, a grattare sotto la superficie, così classico non è, almeno nella fattispecie. Perché il dessert in questione è uno strudel, ma di pere; è potenziato con cioccolato e chiodi di garofano; ma soprattutto accoglie, in ricetta, una dose di ricotta affumicata. Come affrontare questo sfaccettato dolcetto? Con una birra a sua volta dolce; e qui ci siamo. Con una birra a sua volta affumicata; e anche questo è pacifico. Poi la sfida è intercettare l’intreccio olfattivo del boccone (il torrefatto del cacao, lo “smoked” della ricotta e il fenolico del “chiodo”)… Un rapido giro d’orizzonte è la scelta può cadere su una Strong Scotch Ale (meglio se di tinta scura, appunto per richiamare il cioccolato), nelle versioni facenti uso di malto “peated”: ovvero essiccato al fuoco di torba e, perciò, contrassegnato dalle sue tipiche affumicature di taglio iodato e, appunto, fenolico-medicinale. Direte: stavolta è toccata la “gita” nella terra dei kilt? Ma no, perché una birra del genere è nella “teca” del Piccolo Birrificio Clandestino, di Livorno: si chiama “Peated Pan”, fa segnare 8 gradi alcolici e, sul ring dell’abbinamento, è stata all’altezza delle aspettative…
PICCOLO BIRRIFICIO CLANDESTINO
via Domenico Cimarosa, 37/39 – Livorno
T. 0586-854439
info@piccolobirrificioclandestino.it
www.piccolobirrificioclandestino.it
BIRRIFICIO LIEVITERIA
Largo Portagrande – Castellana Grotte (Bari)
T. 080-6458760
info@lieviteria.com
www.lieviteria.com
BONAVENA BREWING
Località Selva – Faicchio (Benevento)
info@bonavena.it
www.bonavena.it