di Titti Casiello
Cosa succede quando due nomi come Giovanni Ascione e Maurizio Alongi fermentano insieme un’idea? Il progetto è tra l’entusiasmante e l’innovativo e Ascione-Alongi è il nome della nuova società creata da questi due capisaldi enoici.
Lui, Maurizio Alongi, che in quel di Gaiole in Chianti, ha spianato la strada al Sangiovese donandogli grazia ed eleganza con il suo Vigna Barbischio Riserva. L’altro, Giovanni Ascione, meglio noto come il Signor Nanni Copè, che per oltre un decennio, nell’alto casertano, ha regalato a noi vini significativamente campani (e significativamente indimenticabili) come “Sabbie di Sopra il Bosco”. E poi c’è lei – l’impresa eccezionale – i due si trasformano e diventano négociant che nel linguaggio enoico francese sta per chi acquista uve e poi le vinifica.
E così in un mondo del vino che gira tutto intorno al “fatto in casa è più buono”, i due sovvertono le regole del gioco e si auto dichiarano commercianti. Un po’ come l’ultimo della classe che senza essere interrogato dice di non aver fatto i compiti.
“Puoi chiamarmi anche commerciante di vino, perché in questo progetto con Maurizio è quello che sono” e lo dice senza luogo ferire Giovanni Ascione, consapevole di vivere in un mondo che fa, invece, di tutto per non proclamarsi come tale. Ma lui non si scompone, e anzi, pare ringalluzzirsi in questo suo nuovo ruolo. E la ragione, per quanto possa essere ovvia, non è, però, di così immediata comprensione in Italia, visto che già solo alla parola “commerciante” si è portati a pensare a qualcosa di svilente. Eppure basterebbe solo vedere il mondo per quello che è, e accettare che se non si è dei maestri pasticceri non sempre le torte fatte in casa sono più buone. Per non considerare poi l’altra annosa verità, forse la più scomoda: che sono tanti quei maestri pasticceri che, in realtà, le basi per le loro torte, le comprano già fatte. La verità, quindi, è che c’è un mondo – sommerso o non – anche di grandi produttori di vino che per le loro etichette di grido acquistano masse di uve o di vino già pronto e confezionato, e che noi, poi, alla fine giudichiamo come buono. A volte per partito preso, altre volte, invece, perché semplicemente ed effettivamente quel vino è davvero buono.
E allora se di buon vino si parla, perché non proviamo anche ad accettare che non è “fatto in casa”? e che ciò nonostante sia buono? Siamo diventati così ossessionati dalla provenienza, dal “km zero”, dall’autoctono e dal locale, da aver quasi perso di vista il fine principale: il vino. Se è buono oppure no. C’è coraggio da vendere quindi nell’affermazione di Ascione di essere “solo” un commerciante, e in più c’è una consapevolezza oltremodo radicata: quella di sapere ciò che si sta facendo, e che quello che si sta facendo è fatto talmente secondo la propria intelligenza produttiva (di cui si sente il bisogno in ogni campo) che di essere definiti commercianti di vino non c’è da prenderne le distanze, anzi. Ma d’altronde, come sempre, ad insegnarcelo è la Francia, che ha quasi santificato, invece, la figura del négociant. Perché chi mai guarderebbe con occhio guardingo ad un calice di Vosne Romanèè pur sapendo che la sua produzione è quasi interamente venduta dai négociant? E ci azzarderemo mai a proferire parola negativa davanti a un Premier Cru come Reignots e Gaudichots sapendo che La Romanée Conti vende i suoi vini ancora in botte (udite udite) direttamente ai négociant? Forse, allora, sarebbe il caso, che anche in Italia, il ruolo del commerciante di vino trovasse un nuovo significato nella Treccani nostrana, e soprattutto anche un nuovo appeal commerciale.
“In realtà, però, il progetto non è nato con l’intenzione di cambiare le regole del gioco. Semplicemente dopo anni e anni di esperienze dirette in vigna, ora volevamo divertirci un po’. L’azienda nasce per quella curiosità insita che mi appartiene, e che appartiene anche a Maurizio”. E non a caso “una vita, tante vite” era il motto del signor Copè sul fronte delle sue etichette. “L’idea di base è semplice: selezioniamo dei vini o delle uve e poi le vinifichiamo in una cantina per conto terzi che segue un nostro protocollo di produzione. Tutto avviene in un rigore e in un igiene che mi ricorda molto la mia vita da Nanni Copè. Per intenderci, quindi, le masse di vino che abbiamo scelto non sono state di certo selezionate al primo giro in vigna che abbiamo fatto, e potrai immaginare anche per la vinificazione”. E il progetto intriga, poi, anche per la scelta della materia prima. Perché pur conoscendo alla perfezione gli stati umorali del Sangiovese e il caratteraccio austero del Pallagrello nero, i due hanno deciso di mettersi alla prova, confrontandosi con dei semisconosciuti: Colorino e Canaiolo. Vitigni molto poco social, da sempre cresciuti all’ombra del molosso Sangiovese, ma che fanno parte della tradizione vinicola toscana dai tempi delle calende. Lui, il Canaiolo che regala vini scarichi, dai tannini vivaci che lasciano spazio alla croccantezza del frutto e l’altro il Colorino che ha verve tra i suoi acini e li trasferisce in vini carichi, quasi inchiostrati e finemente speziati. “Facciamo il Canaiolo come deve essere il Canaiolo e il Colorino come deve essere il Colorino. Abbiamo voluto raccontare l’anima vera di questi vitigni. Commercianti si, ma commercianti onesti ecco”. Ebbene da questi due insolite coppie, di viticoltori e vitigni, nel 2021, è nata l’azienda Ascione-Alongi e attualmente i numeri sono quelli di partenza con 13.000 bottiglie suddivise in egual misura tra un Igt Toscana Colorino e un Igt Toscana Canaiolo. Ma la mente viene lasciata aperta a guardare il futuro, verso nuovi vitigni e nuove terre. Quello che c’è da dire, attualmente, è che i vini di Ascione-Alongi, sono dei vini buoni.