È il Mediterraneo ad unirle, un lungo abbraccio di correnti marine, tra Sicilia e Sardegna, in grado di generare un’unione indivisibile attraverso i vini prodotti nelle due più grandi terre isolane del nostro Bel Paese. Ed è, poi, il legame al Maestrale, al sole, al mare e a una manciata di macchia mediterranea che plasma i vini di entrambe le zone in una tradizione arcaica legata all’affinamento ossidativo. Così luoghi geograficamente e culturalmente assai lontani si tengono per mano custodendo nello stesso palmo il valore del tempo attraverso vini in grado di restituire quello stesso tempo anche dopo un ventennio, un trentennio, un cinquantennio e oltre. Sono vini che raccontano il passato, vivono nel presente e si proiettano nel futuro e così a Taormina gourmet on tour, in una masterclass condotta dal giornalista Federico Latteri, la storia del Marsala siciliano dell’azienda di Marco de Bartoli si rilegge tra le pagine sarde della Malvasia di Bosa prodotta da Columbu.
La Malvasia e il Marsala, la Sardegna e la Sicilia: a Tg on tour un lungo abbraccio di correnti marine
Columbu
La strada di Bosa e della sua Malvasia si segna tra Alghero e Oristano in un legame quasi antropologico tra il paese e questo vitigno, basti pensare che questo è anche il vino utilizzato dal prete di Bosa per la messa della domenica. Ma è anche il vino che viene letteralmente “murato” nelle pareti delle cucine di ogni famiglia non appena nasce un figlio o un nipote, così ci si dimentica che c’è una bottiglia e quando, poi, si sposerà o ci sarà qualcosa di veramente importante da festeggiare, varrà allora la pena rompere quel muro. Il rischio che non sia buono dopo così tanto tempo non è neppure preso in considerazione “sono vini archetipali, indifferenti a noi, che sanno vivere aldilà dell’uomo di oggi” dice Vanna Mazzon che insieme a suo marito Gianmichele Columbu gestiscono la piccola azienda di famiglia nel centro del paese.
“Mio padre arrivò a Bosa alla fine degli anni 50, era un insegnante e non aveva nessuna intenzione di diventare vignaiolo” dice Gianmichele, ma l’amore fa fare cose impensabili e l’incontro con Lina, che diventerà poi sua moglie, fece cambiare i suoi programmi di vita. Così da lì a poco Giovanni Battista diventò uno dei primi produttori ad imbottigliare la Malvasia di Bosa. E Bosa, per quanto piccola e semisconosciuta, è stata narrata nelle pagine di Soldati, tra i suoi viaggi alla ricerca dei vini umani e impressa poi un trentennio dopo anche nelle immagini del docufilm di Jonathan Nossiter, “Mondovino”. Oggi qualcosa, però, si muove nella piccola cittadina “anche se il rischio è che in città si ritrova sempre più Malvasia dolce che ossidativa”. Una tipologia di vino, quella dolce, da poco ammessa dal disciplinare che senza dubbio può aiutare a far conoscere Bosa oltre i suoi confini, purchè, però, non faccia ricadere nell’oblio della memoria la sua tradizione ossidativa.
De Bartoli
E come Bosa così Marsala, che ha difeso strenuamente la sua memoria storica ossidativa con il vino della tradizione. Si chiamava Perpetuo, ma la gente iniziò, però, a dimenticarlo quando in città arrivarono gli inglesi e iniziarono a fortificare quel vino. Lo chiamarono Marsala e lo esportarono nel mondo. Diventò così tanto famoso che del Perpetuo non c’erano più tracce. Marco de Bartoli decise, allora, di farlo rivivere e la storia di come ha fatto e di come ci sia riuscito è nota ed è conosciuta ai più, e noi di Cronache di gusto l’abbiamo narrata molte volte. Non ci stancheremo mai però di ricordare il grande merito che va alla famiglia de Bartoli per aver fatto un viaggio nel tempo restituendoci un pezzo fondamentale della memoria storica italiana.
La degustazione
Malvasia di Bosa “Alvarèga” 2022 – Columbu
La prima bottiglia di Malvasia dolce dell’azienda fu prodotta per il matrimonio del fratello di Gianmichele nel 2003, Erano “appena” 520 invitati e valeva allora la pena produrre un nuovo vino oltre a quello ossidativo, così nacque Alvarega. Della 2022 sono state prodotte solo 52 magnum, questa volta per celebrare i 20 anni di quel matrimonio. Ed è una variante dolce di Malvasia che profuma di frutta gialla matura e di accenni di frutta secca armonizzata con sentori salmastri in un palato che per quanto morbido non manca di uno slancio sapido sul finale.
Marsala Superiore Oro riserva Vigna La miccia 2019 – De Bartoli
Marco de Bartoli nella sua battaglia alla ricerca dell’autenticità decise di salutare le grandi aziende marsalesi per andare a lavorare in un baglio. Era in campagna che i vecchi contadini tenevano ancora quelle vecchie botti di Perpetuo, lui le acquistò e fu da lì che partì per ricostruire la memoria vitivinicola autentica del Marsala. Il calice in degustazione, dall’omonima vigna in contrada Samperi, rappresenta un’introduzione al suo mondo, appena 4 anni di affinamento in fusti di rovere (un tempo brevissimo per il Marsala) nel quale si avverte solo un leggerissimo inizio di ossidazione, mentre una grande vivacità pervade tanto il naso che il palato.
Malvasia di Bosa Riserva 2017 – Columbu
La differenza tra gli ossidativi sardi e siculi sta nel diverso approccio tecnico a raggiungere l’ossidazione. Nella Malvasia si raggiunge attraverso una maturazione in botti scolme (di castagno e non di rovere), dove si ossida meravigliosamente protetto dal famoso velo di lieviti detto “flor”. Per il Marsala, invece, non si crea a causa dell’elevato contenuto d’alcol che impedisce, di fatto, la sopravvivenza dei lieviti. “Il residuo zuccherino nella nostra Malvasia è portato a zero” dice Gianmichele e il calice lascia spazio a note marine e salmastra, poi ad accenni floreali, mentre quella parte ammandorlata, tipico sentore di questo vitigno, pervade l’intero palato.
Vecchio Samperi Perpetuo – De Bartoli
A Marsala, prima dell’arrivo degli Inglesi, si faceva, quindi, come detto, un vino chiamato perpetuo, appartenente alla tradizione contadina, ottenuto pressoché solo da uve bianche raccolte a piena maturità. Normalmente veniva tenuto in una sola botte, stillato per le grandi occasioni: si scolmava la botte senza mai andare oltre la metà e, poi, la si riempiva nuovamente con il vino della nuova vendemmia, in modo tale che il contenuto non fosse di un’annata specifica, ma venisse rigenerato annualmente mantenendo sempre una piccolissima frazione della vendemmia più lontana. Questo vino non veniva fortificato sia perché non si aveva alcol a disposizione e sia perché il contenuto alcolico dello stesso era piuttosto elevato. La famiglia de Bartoli continua ancora oggi a seguire questo antico rituale. Un grillo 100% proveniente da vigne di 40 anni in contrada Samperi e rabboccato annualmente con il 5% di vino nuovo che profuma di note di liquirizia, poi di caffè e cioccolato, in una bocca secca, asciutta, austera e infinitamente piacevole.
Malvasia di Bosa 1998 – Columbu
Scorza di arancia, frutta candita e foglie di tabacco. Una gamma di profumi che cresce continuamente in ampiezza in un sorso caleidoscopico con un lunghissimo finale salino.
Marsala Superiore Oro Riserva 2009 – De Bartoli
“L’apogeo di un vino ossidativo” dice Federico Latteri con un calice che si connota di un elegante terziarizzazione fatta di ebano, cedro, poi di foglie di tabacco e di carrube.
Malvasia di Bosa 1992 – Columbu
Viaggia nel tempo in un naso giovanissimo tra note vegetali, leggere e poi di sandalo e di sbuffi balsamici in una freschezza tagliente al palato.
Marsala superiore Vergine Riserva 1988
Infinito. Con quel fiore di sambuco che sottostà a ogni olfazione, che però cambia e ricambia continuamente, e poi la frutta gialla e quella rossa, sfumature di tabacco e sbuffi balsamici. Imprevedibile e magnetico, per concedersi poi a un sorso lussuoso, caldo e avvolgente, i un’onta di sale e freschezza sul finale.