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Il “soffio bianco campano”: a Tg on tour la longevità magnifica di Pietracupa

30 Novembre 2024
ph Vincenzo Ganci, Migi Press ph Vincenzo Ganci, Migi Press

“Vent’anni fa era impensabile anche solo pensarlo”. E’ alla longevità dei vini campani alla quale Daniele Cernilli si riferisce e in una masterclass che apre la prima giornata di Taormina gourmet on tour a Palermo, l’impossibile diventa incredibile in una verticale storica di Pietracupa tra Fiano e Greco che mostra quanto la Campania bianca del vino sappia viaggiare in un tempo e in uno spazio sconosciuto ai più. È la storia di Sabino Loffredo, piccolo viticoltore irpino che attraverso una cesellata e certosina produzione porta un “soffio bianco campano” che al pari di un canto di una sirena diventa impossibile da resistere.

La sua non è la solita storia di famiglia, di una tradizione secolare perpetrata nel tempo da padre e figlio, ma è “solo” quella di un uomo che ha deciso di ascoltare il suo istinto “non sono neanche enologo, faccio i vini seguendo il mio gusto” dice Sabino. Eppure, dal 2006, primo anno della sua produzione, i suoi vini si connotano sempre di profonda e incisiva personalità, smuovono le anime prima ancora di un’asettica scheda di degustazione e tutto questo forse succede perché i suoi vini si staccano dall’essere “solo” un Greco o un Fiano di Avellino, diventando espressione di una zona, di quella piccola collina irpina chiamata Montefredane e di chi la vive, di lui, con le sue mani e i suoi pensieri. Non è facile ammette Sabino. “Fino a 25 anni fa andavo in giro mi dicevano ma perché in Campania fate pure i vini bianchi?” Eppure, lui ai preconcetti non c’è mai stato “A mezz’ora da Avellino c’è una stazione sciistica, a mezz’ora pure il mare”. Presupposti pedoclimatici che uniti alla voglia di fare e di saper fare bene fanno presagire alla produzione di vini bianchi da lungo affinamento.

La degustazione di Greco di Tufo

2018
“Meno mani ci metti più le cose vengono bene. Quello che io faccio è solo una fotografia dell’annata, senza ritoccarla” e l’assenza del photoshop mostra un Greco vivace che sottostà a sferzanti note di agrumi e cedro in un palato di media acidità e di buona persistenza.

2016
Fiori bianchi, poi una vena sottile elegante e iodata, in un sorso di magistrale fattezza qualitativa, tutto giocato in una progressione verticale. È il sale che sa danzare e cedere il posto all’acidità. Lo fa con così tanto garbo da lasciare il palato esterrefatto da così tanta grazia. Standing ovation

2012
I suoi descrittori si scrivono tra note di nocciola, accenni goudron e foglie di tabacco. Mentre in retrogusto rimandi fruttati traghettano il palato in una sci a di lunghissima persistenza.

2006
E’ un’ossidazione che non disturba e che lascia spazio al caramello tostato, poi al pan brioche e al sale. Fosse un piatto sarebbe un pane burro e alici. Certo può piacere oppure no, ma se piace è qualcosa che genera un’assoluta estasi olfattiva, con quel gusto che al palato diventa poi l’esatta deglutizione di quel pasto olfattivo.

La degustazione di Fiano di Avellino

2021
Giovanissimo. Tutto concentrato su fiori e frutta bianca a rimando di un melone e di una pesca. Viene solo da custodirlo come un poppante in culla, tenerlo in cantina, coccolarlo, sapendo che da grande farà grandi cose.

2016
Un olfatto carnoso che rimanda quasi a un Greco con quella frutta intensa e matura, al pari del suo palato che si fa carnoso su una trama tannica quasi ispida.

2014
Ondeggia in una stola olfattiva fatta di leggerezza tra zucchero a velo, fiori bianchi e pietra focaia, in un sorso che senza nessuna velleità di essere impattante sin dall’inizio, si presenta in leggiadria per diventare a mano a mano sostanza. Funambolo di acidità e sapidità, mentre in retronaso i ricordi di una pesca bianca sanno riportare il tutto a una lunghissima piacevolezza gustativa.

2010
Resina, rosmarino, pino. Un vino mediterraneo che riporta in una pineta, mentre il sorso si impone generando da subito sensazioni goduriose tra burro, nocciola e sale. Standing ovation

Due outsider

Cupo 2013 Campania Fiano igt
Il Cupo di Pietracupa è un vino bianco da uve Fiano prodotto nell’area di Montefredane, solo in annate straordinarie. È come se fosse una riserva di Fiano e viene prodotto quando Sabino ritiene di farlo. Anche in questo caso più che di annate buone o non buone, la decisione è dettata unicamente dalla sua sensibilità. È un olfatto aperto, con le narici che si dipanano tra fiori bianchi e vegetali in una bocca che si legge in una dinamicità verticale tutta giocata sull’acidità nel suo finale.

Cupo 2005 Campania Fiano igt
Purtroppo, il rimando è alla Borgogna, purtroppo il rimando è a uno Chassagne-Montrachet. E il purtroppo è d’obbligo, perché l’Irpinia e i vini di Sabino Loffredo, non avrebbero alcun bisogno di ritrovare un paragone con la Francia, né servirebbe, poi, uno Chassagne-Montrachet per far capire Montefredane. Ma ce ne appropriamo perché vini così forse non ci sono più. E questo vino sembra, allora vivere in uno spazio tridimensionale, viaggia in memorie olfattive caleidoscopiche dove non è acciuffabile il singolo sentore, ma è la somma del tutto a generare un’enfasi olfattiva di terziari ancora leggiadri e profondissimi, mentre un palato fatto di burrosità, sapidità e assoluta persistenza, riscrive le regole di un tempo che non avverte le regole del tempo stesso. Standing ovation