Tra le molte fotografie mentali che si possono portare a casa, e conservare nella propria memoria, dopo il ritorno da un viaggio a Colonia, a primeggiare su tutte le altre (e per distacco) è sicuramente quella del suo meraviglioso duomo gotico, dedicato a San Pietro. Tuttavia, talmente bella è questa città della Renania adagiata sulle rive del Reno, che le immagini meritevoli di essere ripensate e ripercorse con piacere sono davvero numerose: dalla chiesa di San Martino al palazzo del Municipio, fino allo stesso scenario del lungofiume. Poi, uscendo dal recinto dei beni storico-monumentali, c’è tanto altro ancora; e nel campo del costume alimentare, un posto d’onore spetta senza dubbio alla birra locale: la chiara, fresca e irresistibile Kölsch.
IL “BATTESIMO”
Non ci sono arcani a rendere in qualche modo misterioso il nome di battesimo di questa tipologia; Kölsch deriva la sua radice da quella della città d’appartenenza, Colonia appunto: in tedesco Köln. Un rapporto di filiazione, tra ambiente e birra, decisamente solido, incrollabile. Ovvio, sotto le guglie della cattedrale capita di bere anche altro: ma per la gente del posto, questa chiara di basso grado alcolico è “il bicchiere” per antonomasia; se non proprio come l’acqua, poco ci manca. D’altra parte si tratta di un prodotto tipico, attestato fin dal medioevo; normato attraverso ordinanze del governo municipale con abbondanza di documenti già nel XVII secolo; e tutelato da uno specifico disciplinare IGP dal 1987, sulla base di un accordo tra produttori suggellato una prima volta nel 1948 (il Verband) e aggiornato nel 1986 (la Konvention).
A METÀ TRA ALE E LAGER
Tra le peculiarità di questa tipologia, la più rilevante riguarda la modalità di fermentazione. Cerchiamo di spiegarla in modo semplice. Immaginiamo un panorama in cui si hanno, da un lato, le alte fermentazioni (o Ales) e, dall’altro, le basse fermentazioni (o Lager). Queste ultime devono il loro nome al fatto che i lieviti impiegati si trovano a proprio agio in una fascia termica compresa, grosso modo, tra i 7 e i 13° C; e si tratta di ceppi che, nel trasformare gli zuccheri del mosto in alcol e anidride carbonica, non generano molecole aromatiche. Le alte fermentazioni, invece, così si chiamano, perché i lieviti che ne sono responsabili prediligono temperature superiori ai 13 °C (qualche ceppo, in realtà, è in grado di spingersi ben oltre i 30); e le loro cellule, nel convertire il materiale zuccherino in etanolo e CO2, sprigionano aromi specifici, spesso decisamente intensi: si pensi, per esempio, al fruttato (banana) e allo speziato (chiodi di garofano) di una Weizenbier. Ebbene, all’interno di questa dicotomia s’incuneano lieviti capaci di lavorare in una cornice termica quasi intermedia; in particolare quelli utilizzati per le Kölsch sono ceppi da Ale, ma in grado di destreggiarsi anche avvicinandosi al “confine” con le temperature tipicamente osservate per le Lager: mediamente, qui a Colonia, si sta fra i 15 e i 20 °C. In casi del genere si parla di fermentazione ibrida: una tecnica che vede, tra le proprie peculiarità, quella di associarsi a profumi fermentativi avvertibili, sì, ma dal profilo leggero, sobrio, mai eccessivo.
MODESTA, MA DI CARATTERE
La Kölsch presenta quindi un profilo garbato: tale, fra l’altro, anche per la taglia alcolica “succinta” (statisticamente, la fascia occupata è fra il 4.4 e il 5.2%; in concreto, la maggioranza della produzione si attesta sul 4.8). Nonostante ciò, la Kölsch non è affatto una bevuta priva di carattere. Al contrario, la nostra biondina, si qualifica per un temperamento ben definito e riconoscibile: proprio per la rinuncia a qualsiasi eccesso, a qualsiasi tentazione di “alzare la voce”. Interrogando anche quanto riportato nei materiali del BJCP (organismo che forma giudici birrari e che raccoglie i ritratti organolettici delle decine e decine di tipologie brassicole), la fisionomia della chiara di Colonia risulta corrispondere a un “profilo” i cui tratti essenziali possono essere riassunti come segue. Colore dorato chiaro e aspetto limpido; profumi sottili, che ricordano la crosta di pane appena imbiondita, l’erba tagliata, la mela Golden, nonché un tocco di mineralità; una corporatura longilinea, una bollicina briosa, una chiusura secca, una vena d’amaro assai fine ed elegante.
L’AMBIENTE, IL CLIMA UMANO, GLI ABBINAMENTI
I produttori autorizzati a utilizzare la denominazione Kölsch, oltre a rifornire (chiaramente) decine di locali indipendenti, hanno quelli di rispettiva proprietà, condotti in gestione diretta. Qui, in mezzo ad arredi vecchio stile, fra finiture in legno e frequenti vetrate multicolori, si respirano le atmosfere più autentiche e si spilla, in alcuni casi, non da fusto pressurizzato, bensì da botticelle di varia caratura: così, ad esempio da Päffgen (per molti il marchio migliore), Malzmühle e Schreckenskammer. Ad ogni modo, il servizio si esegue rigorosamente nel bicchiere tradizionale, un cilindro semplice semplice e piccolo nelle dimensioni: 20 centilitri, in modo da salvaguardare la freschezza della birra, accorciando i tempi di consumo. Date le doti di leggerezza per cui la Kölsch si contraddistingue, gli abbinamenti più consoni sono con carni bianche e insalate; ma non si creda: la nostra “chiara”, con la sua bevuta ficcante, è in grado di sostenere l’assalto anche a salse grasse e ai tipici contorni con patate e cipolle. Provare per credere.