Il nome è di origine ungherese e deriva in realtà da un aggettivo “gulyás”, che significa più o meno “alla mandriana” e che si applica a più sostantivi: in espressioni quali ad esempio “gulyás-hus”, ovvero “carne alla bovara”. Nel suo fluire entro il costume gastronomico di un po’ tutta l’Europa centrale e orientale nell’insieme, il termine finisce tuttavia col diventare un sostantivo esso stesso, assumendo grafie diverse in funzione dei vari territorio di penetrazione; e nella variante tedesca “gulasch” si fa conoscere, col passare del tempo, in tutto il continente, fino ad assumere uno status da ricetta internazionale: e a guadagnare una diffusa attenzione, anche come materia di possibile abbinamento, sia con il vino sia con la birra.
LA SOSTANZA DEL PIATTO
In soldoni, si tratta di una zuppa di carne: originariamente bovina, per poi ammettere, anche sotto questo profilo, non poche variazioni sul tema: tanto da aprire le porte della ricetta a materie prime quali pollo, ovini e addirittura pesce. Quella di manzo resta tuttavia la versione per eccellenza: “il gulasch”, con l’articolo determinativo. Preparato inizialmente, per l’autoconsumo, appunto dai vaccari incaricati di accompagnare il bestiame dalle pianure ai mercati di vendita, veniva cotto in un paiolo di grandi dimensioni, al fuoco di legna fatta ardere all’aperto. Passato, verso la fine del settecento, dalle praterie alle tavole familiari, sia altolocate sia popolari, viene così a ricevere una codifica della propria ricetta, benché, come si è accennato, non rigida e immodificabile.
INGREDIENTI, PREPARAZIONE, PROFILO GUSTATIVO
Oltre alla carne, elemento fondamentale è la paprica; ovvero peperone rosso essiccato, tritato e ridotto in polvere: il quale, tra l’altro, trasferisce al piatto il proprio caldo colore acceso. Si tratta di una spezia poliedrica: che risulta piccante, se il frutto è lavorato includendo la pellicola bianca interna (la placenta) e suoi semini; e che invece, se quelle parti vengono rimosse, acquista un temperamento decisamente dolce. La preparazione del gulasch di manzo, segue, in sintesi questi passaggi. Primo: rosolare per qualche minuto, in una casseruola, prima alcune cipolle tritate con olio extravergine e poi, su quel fondo, la carne porzionata a cubetti, sfumando con vino rosso. Secondo: aggiungere (con un poco d’acqua) sale e paprica di entrambe le tipologie, irrorando poi con brodo vegetale e procedendo per una novantina di minuti. Terzo, unire al tutto un poco di burro precedentemente sciolto e arricchito in una ciotola con aromi: cumino, maggiorana, dragoncello, rosmarino; quindi mescolare, mantenere sulla fiamma (bassa) altri cinque minuti per un giusto amalgama e infine servire in tavola. Il boccone avrà una consistenza morbida; un’alta densità sensoriale complessiva; un gusto intenso, in specie nelle prerogative di sapidità, piccantezza e lieve acidità; un “naso” parimenti vigoroso, in cui a far da traino sono la paprica e le tostature da cottura; una frazione grassa tutto sommato contenuta, dai 6 ai 6.5 grammi su 100 di prodotto. Ed ecco, alla luce di tali premesso, tre possibili strade da seguire per l’abbinamento con la birra.
CON LA HELLES BOCK
Data la muscolarità del piatto, già il primo “corpo a corpo” vede sul quadrato una birra di stazza considerevole. È la “Bergbock Hell” del marchio abbaziale tedesco “Andechs”, omonimo del proprio comune d’appartenenza, nel sud della Baviera: una Helles Bock dal bel colore dorato carico, i cui 6.9 gradi – uniti a una bollicina ficcante – lavorano a dovere i grassi del boccone; mentre la mielata dolcezza della sorsata si armonizza con la sapidità piccante del gulasch; e infine i profumi panificati della birra (crackers, crosta appena imbiondita) riprendono e assecondano le tostature della carne.
CON LA BRITISH STRONG ALE
Non si sale molto con la gradazione, in questo secondo “giro di giostra”: l’arrivo è a quota 7, valore corrispondente alla taglia etilica della “Winter Ale” targata “St. Peter’s”, birrificio inglese di St. Peter South Elmham, villaggio del Suffolk nei pressi della cittadina di Bungay. Prodotta stagionalmente come “Winter Warmer” è in sostanza una British Strong Ale, il cui colore bruno bronzeo prelude a tostature che, sul piano olfattivo, si allineano con ancora maggior precisione a quelle del piatto. Per il resto, il “testa a testa” con il gulasch produce effetti non dissimili ai risultati ottenuti dalla “Bergbock”, facendo registrare giusto piccoli discostamenti: la bollicina ad esempio, in questo caso, esercita una pressione leggermente inferiore sulla materia lipidica del boccone; mentre la condotta gustativa del bicchiere lascia percepire una sottile vena d’amaro, generando possibili minime disarmonie nel contatto con il cuneo sapido-piccante della carne.
CON LA QUADRUPEL
Per quanto, nel contesto del secondo abbinamento, possano aver rappresentato un problema (in realtà la loro proporzione è stata assai poco rilevante), le amaricature tolgono del tutto il disturbo in questo terzo “round”. Sul ring sale infatti un Quadrupel tra le più dolci: quella della gamma “La Trappe” (facente capo all’abbazia di Koningshoeven, nella provincia olandese del Brabante settentrionale); una referenza commercializzata senza nome d’arte e recante in etichetta la sola designazione tipologica: “Quadrupel”, appunto. Servita in calice, evidenzia colori tra il ramato carico e il bruno, spargendo in giro tostature e regalando quindi, nelle relazioni olfattive con il piatto, risultati affini a quelli ottenuti dalla “Winter Ale”. Migliorano sensibilmente, invece, sia il lavoro sulla materia lipidica del boccone (per effetto dei 10 gradi alcolici messi in campo dalla birra); sia il rapporto armonico con le piccanti sapidità della carne: appunto grazie alla lunga persistenza zuccherina in dote alla sorsata.
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