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L'azienda

La magia di mescolare con sapienza farine, acqua e lievito madre: “Vi spiego perché il pane toscano Dop è unico”

30 Ottobre 2024
Piero Capecchi e Daniele Pardini Piero Capecchi e Daniele Pardini

Sciocco ma non insipido, a lievitazione naturale e cotto nel vero forno a legna, quello alimentato a fascine: è il Pane Toscano dop, un pane vivo e bianco (in Toscana c’è la cultura del grano tenero) dal sapore un po’ acidulo, ottenuto da un lento processo di produzione grazie a tre soli ingredienti – farine da frumento autoctono coltivato in Toscana, acqua e lievito madre – le cui qualità e la sapienza nella preparazione consentono di mantenere fresco a lungo. Che il pane in Toscana sia sciapo è cosa nota, come lo è la storica rivalità tra Firenze e Pisa, repubblica marinara che impose un dazio sul sale, da allora utilizzato quindi solo per conservare la carne; testimonianza diretta la fornisce Dante descrivendo l’esilio: “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui”. Oltre ai riferimenti storici, a valergli nel 2016 il riconoscimento europeo sono modalità di preparazione e caratteristiche salutistiche quali la miscela di farine contenenti germe di grano, ricco di vitamine B ed E, aminoacidi, sali minerali e acidi grassi (scartato nelle farine convenzionali, si perde un valido contributo nutritivo) e la pasta acida – la “madre” – le cui molte ore di lievitazione rendono il pane digeribile, con meno glutine e soggetto a minor raffermamento.

Il lento processo produttivo impiega circa 24 ore e si conclude con la cottura per calata di calore – dai 250° di partenza, mezz’ora circa – dopo aver spento il fuoco precedentemente acceso con ramaglie di erica o legna di sottobosco e averne aspirato la cenere. È nello stabilimento del valdarnese Savini, nell’ambito di BuyFood Toscana, che approfondiamo la parte relativa all’impasto finale: ognuno nella propria nicchia, la stesa dei panetti “baciati” (rovesciati) sui teli infarinati, con la farina che si ritrova sopra quando li si inforna ottenendo quella sorta di rosa caratteristica del Pane Toscano; la spennellatura con acqua per l’apposizione di più bollini edibili della dop; la cottura, con le pezzature più piccole davanti e le più grandi all’interno. Nei suoi forni a fascine Savini produce 130 chili di Pane Toscano dop, tra bianco e integrale, per un totale di 10 quintali al giorno, con una produzione 2023 di 210.000 chili. “La quantità annua totale dop prodotta da tutti i panificatori è invece di 10.000 tonnellate”, precisa Daniele Pardini, direttore del consorzio di tutela di quella che è l’unica dop del pane a carattere regionale: 45 aziende agricole, 4 aziende molitorie e 12 panificatori, con un valore al consumo nel 2021 di 3,3 milioni di euro (Qualivita).

La vera produzione, invisibile, la compie il lievito naturale: la “madre acida”. Quella in uso alla dop è stata messa a punto miscelando lieviti di altri panificatori – con numerose sperimentazioni e notti trascorse in panificio fino all’equilibrio microbiologico ottimale – dal team capitanato da Angela Zinnai del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’università di Pisa (professoressa che si occupò anche del progetto di vinificazione marina dell’Ansonica elbano in anfora) con l’ausilio di Piero Capecchi, responsabile tecnico della panificazione per il consorzio. Certificata, è conservata nei laboratori di microbiologia dell’università di Pisa da cui i panificatori autorizzati possono rifornirsi. La pasta acida è infatti costituita da lieviti, responsabili della fermentazione e batteri lattici, che conferiscono al Pane Toscano dop le sue caratteristiche organolettiche. E per mantenerne vive le qualità nutraceutiche, fondamentali diventano i continui rinfreschi quotidiani, con i quali si rimescolano acqua e farina secondo temperature e tempi ben definiti, affinché si mantenga il giusto equilibrio tra i microrganismi. Ugualmente importante la riproducibilità del processo tradizionale: il consumatore ha bisogno di avvertire omogeneità per fidelizzarsi. E dovrebbe sapere che è meglio acquistare un pane da 2 chili perché nel rapporto superficie/volume i batteri trovano un ambiente più ospitale. Attenzione però: è l’equilibrio microbiologico ottimale di questo pane “vivo”, proprio per i microrganismi presenti anche dopo la cottura, a far sì che 2 chili di pane possano conservarsi freschi più a lungo senza dover tagliare e congelare.

Motivo per cui, dopo l’immissione sul mercato del pane integrale con farina tipo 2 macinata a pietra, nel futuro del Pane Toscano dop ci sono progetti di ricerca finalizzati ad aumentarne la shelf life senza alcun mantenimento. Per ora si trova in panetterie e gdo toscane e liguri (Coop, Conad, Panorama e, in Lombardia, Il Gigante). “Il nostro pane fino a 6 o 7 giorni non produce muffe – ribadisce Pardini -. Per aprirci ai mercati di tutta Italia e nel futuro in Europa con un prodotto fresco e sano quale è il Pane Toscano dop, il consorzio è impegnato nel progetto PaneDopBio”, teso al miglioramento delle farine grazie a protocolli di coltivazione bio su campi sperimentali, al confezionamento con packaging naturale e l’utilizzo di miscele gassose come l’argon e alla conservazione, analizzando con sensori all’interno delle confezioni la disidratazione, diretta responsabile del degrado organolettico del pane (oltre ai dipartimenti agrari delle università di Pisa e di Firenze, tra i partner il Cern di Ginevra).
E se proprio non si riesce a consumarlo tutto, è un ottimo ingrediente per le zuppe della tradizione quali pappa al pomodoro, panzanella o ribollita toscana ma anche la carabaccia fiorentina, con le cipolle o la primaverile garbugia lucchese.