Dal 2012, ormai, il Villaggio della Birra, rappresenta, per chi scrive queste righe, una tappa fissa nel proprio calendario di appuntamenti con la “pinta” di qualità; un impegno inderogabile, dettato da regole violate soltanto in casi di assoluta impossibilità a rispettarle: come nel 2015, maledetta appendicite. E insomma (considerando che la manifestazione è partita nel 2006 e ha saltato il giro nel 2020 causa Covid), aver inanellato 12 presenze quasi di fila è senz’altro un bel curriculum. Talvolta, tuttavia, è capitato, per obblighi familiari o lavorativi, di poter onorare non tutte le giornate di svolgimento del festival; e così è stato nel settembre scorso, per la 18a edizione (organizzata, come dal 2022, al Parco dell’acqua di Rapolano Terme): in quel frangente, concomitanze di vario genere hanno imposto una “toccata e fuga” limitata alla sola serata di venerdì 6 settembre. Come regolarsi, in circostanze del genere? Inutile recriminare per i tanti (troppi) assaggi ai quali dover rinunciare: la strategia più sensata è quella di selezionare i propri obiettivi. Ad esempio dedicandosi ai marchi che non si ha ancora avuto l’opportunità di conoscere. Oppure puntando su qualche espositori straniero (chissà quando ricapiterà di averlo a tiro). O ancora individuando un filone preferenziale: le basse fermentazioni, le tipologie belghe o statunitensi, le basse o le alte gradazioni e così via. Nella fattispecie, la scelta è caduta appunto su un tema specifico: quello delle birre acide, alle quali, da tradizione, la rassegna attribuisce sempre grande attenzione e grande spazio. Così, al termine di una discreta girandola di “fermate” e sorseggi, ecco un piccolo spaccato con quattro tra le bevute annotate come le più interessanti…
CAZEAU OUDE BRUIN (BRASERIE DE CAZEAU)
Si parte dal Belgio, culla storica del genere Sour. In particolare da Tournai (nella provincia dello Hainaut): dove anche la ”Brasserie de Cazeau” ha voluto cimentarsi con una tipologia tipica, come quella delle Oud Bruin. In questo caso assemblando due birre di base e poi procedendo a una maturazione contaminativa. Al termine della quale, troviamo un calice dal bel colore ramato (con riflessi granato), dalla velatura diffusa e dalla cremosa schiuma beige; i cui profumi, partendo da note di caramello e biscotto, esplorano poi territori quali frutta disidratata (fichi) e in versione yogurt (prugna, ciliegia), aceto balsamico, noce moscata, liquirizia e anice. Il tutto a preparare una bevuta dotata di corpo medio-leggero, gradazione contenuta (siamo al 5%), bollicina piacevolmente fine, vigorosa dorsale acida, assoluta assenza di calore alcolico in deglutizione e chiusura equilibrata, pur se lievemente più amara rispetto alla media dello stile.
THE PURPLE (DE GARDE BREWING)
Anche gli Stati Uniti, si sa, hanno per il perimetro “Sour” una vocazione diffusa ed entusiastica. Che trova una tra le sue espressioni più interessanti nell’esperienza in atto a Tillamook, sulle coste dell’Oregon, nelle cantine del marchio “de Garde”. Qui fermentano e maturano pazientemente in legno mosti lasciati spontaneamente a inseminarsi per mano della microflora locale e talvolta arricchiti con ingredienti aggiunti. È il caso della “Gin Barrel Cuvée”, maturata per tre anni in botti di rovere provenienti da cicli affinativi di gin e arricchita (durante gli ultimi tre mesi di gestazione) con la macerazione di lamponi rossi e neri, calcolati in una quantità pari al 30% della massa liquida. Ne nasce una mescita dall’acceso color porpora, ispessito da dense sospensioni e abbondantemente coronato da fine schiuma rosata. Polposo, l’aroma consegna il timbro varietale dei frutti cardine, sfumandolo di un sottile tocco acetico e affiancandogli sensazioni di sottobosco, matita, corteccia, ma soprattutto il coprotagonista apporto botanico-resinoso del ginepro. Al palato, la condotta gustativa – ben bilanciata tra componenti morbide (compresa una gradazione pari al 6.3%) e acide (lattico-citriche principalmente) – conduce a un finale secco, privo non solo di divagazioni amaricanti, ma anche di qualsiasi ruvidità tannica.
NOBEL EK NYPON (BREKERIET BEER)
Torniamo idealmente in Europa, sbarcando per l’esattezza in Svezia. Dove troviamo un altro laboratorio permanentemente all’opera sul fronte delle fermentazioni non convenzionali: quello di “Brekeriet”, a Landskrona, sulla costa occidentale (prospiciente quella danese), grossomodo a metà tra Malmö e Helsinborg. Nell’assortito catalogo “della casa” – tra diverse altre meritevoli – troviamo l’etichetta della “Nobel ek nypon”: appartenente alla serie “Barrel aged” è una Saison fermentata con tecnica mista (lieviti e batteri) in botti di rovere ex Rioja e qui fatta maturare per due anni, aggiungendo in macerazione bacche di rosa canina. Alla prova del bancone, il colore è dorato pieno, l’aspetto diffusamente velato, la schiuma fine sebbene non cementizia nella durata; gli aromi toccano corde quali pasta frolla, carcadè, fiori d’ibisco e sambuco, albicocca e nettarina (anche in versione yogurt) e vaniglia; la condotta gustativa risulta levigata, la bollicina prevedibilmente sopita, il finale secco e interessato sia da una vena di calore alcolico (ma ci sta: siamo sui 7.5 gradi) sia da una punta d’amaro, peraltro smussata e di certo non molesta.
VORREI UN APERITIVO (MÈTAPHORE)
Dalla Svezia, restando nel vecchio continente, scendiamo alle latitudini della Mitteleuropa: già, perfino la Repubblica Ceca, roccaforte dell’ortodossia Lager, accoglie esperienze aperte alla prassi delle contaminazioni controllate. E con risultati anche sorprendenti: ad esempio nel caso del marchio praghese “Métaphore”, autore di alcuni autentici gioiellini, tra i quali la “Vorrei un aperitivo”, evidente omaggio alla cultura italiana dei liquori botanici. Si parte con l’inseminazione spontanea del mosto e la successiva fermentazione in botte, a sua volta completata da un ciclo affinativo protratto per diversi anni, nel corso dei quali la massa liquida in evoluzione riceve l’abbraccio di amarene, ribes nero, acini di uva Zweigelt e una dozzina di essenze aromatizzanti, tra cui salvia, rosmarino e assenzio. A valle il colore è un granato profondo, l’aspetto pulito, la schiuma non traboccante ma discretamente fine e persistente; il profumo risulta legnoso (vaniglia), fruttato e lattico (bacche di bosco in versione yogurt), erbaceo e vivacizzato da una piroetta di timbro “cocktail”, richiamante in specie il Bitter. Il tutto a introdurre una sorsata facile (4.6% appena la gradazione), dalla corporatura leggera, dalla condotta piacevolmente acida e dalla chiusura secca ma quasi per niente amara.