Una delle “mission impossible” della viticoltura italiana è quella della rivalorizzazione delle proprie denominazioni, in particolare di quelle dimenticate o sconosciute ai più, di solito sono quelle più piccole che per vari passaggi, politici, burocratici ed anche imprenditoriali hanno attraversato, periodi di anonimato. A farsi carico di valorizzare e riscoprire una di queste denominazioni sono stati Dario De Pascale, con gli amici e soci Roberto Fracassetti e Roberto Candia e insieme agli enologi Valentino Ciarla e Gloria Battista hanno lanciato il progetto Amalberga, cantina della Doc Ostuni. In questo lembo di terra pugliese, nota come “el pueblo blanco ”italiano per le pittoresche case del centro storico colorate di calce bianca, insiste una tradizione vitivinicola molto antica che ha portato nel gennaio del 1972 la Doc Ostuni. Il suo disciplinare prevede due denominazioni: Ostuni Bianco con vitigni come: Impigno (tra il 50 e l’85%), Francavilla (tra il 15 ed il 50%), poi Verdeca e Bianco di Alessano; l’altra denominazione Ostuni Ottavianello dove per questo vitigno è previsto l’85% minimo, con il complemento di Notar Domenico, Negroamaro, Susumaniello e Malvasia Nera.
Se pensiamo che nella Valle d’Itria erano allevate quasi 4.000 ettari di vigneto, e che dalla determinazione della denominazione, 50 anni fa, i vitigni autoctoni hanno subito un rapido abbandono, sia per questioni di rese produttive, sia a vantaggio dei più attraenti internazionali, e non da ultimo sempre in quel periodo le dissennate scelte europee degli espianti. Questa Doc prevede delle rese pensate in anni dove la qualità era un’eventualità, infatti nel disciplinare si prevede la possibilità di produrre 110 quintali ad ettaro, una follia nei tempi odierni. Per fortuna ora c’è la riscoperta della qualità dei vitigni autoctoni che inizia anche a fare tendenza anche negli scenari internazionali, sostenuta anche dall’imprenditoria locale.
Una di queste aziende è appunto Amalberga, il cui nome è quello di una monaca cristiana belga Amalberga (o Amalia) di Temse, vissuta tra il 741 circa ed il 10 luglio 772, particolarmente venerata come Santa nelle Fiandre protettrice di agricoltori e marinai. Questo progetto oltre ad avere una spinta locale con Dario De Pascale, ha avuto l’impulso anche di sostegno, non autoctono, quello dell’imprenditore bergamasco Roberto Fracassetti. La produzione enologica racconta la denominazione attraverso due referenze che grazie all’enologo Valentino Ciarla, che dal 2017 ricopre un ruolo attivo nella creazione di vini verticali ed eleganti, comunicano l’identità del territorio: Stùne Ostuni Bianco Doc e Ottavianello Ostuni Rosso Doc. Nel processo di valorizzazione dell’enologia ostunese si inserisce una speciale interpretazione della Verdeca che, forte di un terroir unico e proveniente da vigneti di oltre sessant’anni, si esprime un bianco espressivo, strutturato e di grande freschezza. A questi si aggiungono i vini da uve autoctone Primitivo, Negroamaro Rosato e Susumaniello.
“La cantina è progettata con uno sguardo al futuro e alla sostenibilità – spiega Dario De Pascale, titolare dell’azienda – rispettando il suolo e puntando all’efficienza energetica e al bilancio idrico a zero perdite tramite la raccolta di tutte le acque piovane in ampie cisterne e il riutilizzo di quelle impiegate nelle diverse attività. Infatti, abbiamo voluto situare la parte produttiva nel sottosuolo per sfruttarne le temperature costanti, consentendo vinificazioni ottimali e limitando notevolmente l’uso della climatizzazione artificiale”. I terreni, posti ad un’altitudine di circa 300 metri sul livello del mare, sono costituiti da uno strato superficiale di terra rossa che nelle lame, alle pendici dei rilievi e nelle conche, diviene più profondo e consente alla vite di crescere utilizzandone la buona fertilità. Le terre rosse, generate dalla dissoluzione delle rocce calcaree, delle quali rappresentano la parte insolubile, sono composte da ossidi e idrossidi di ferro e alluminio, sono perciò ricche di potassio e povere di sostanza organica, ma con una forte presenza di scheletro di carbonato di calcio che arriva a rappresentare il 60% dei costituenti totali, riuscendo ad avere una composizione di medio impasto, che vira dall’argilloso all’argilloso-limoso.
Negli 11 ettari di proprietà e nei restanti, per un totale di 44 di aziende collegate, si allevano le viti di francavilla, impigno, minutolo, bianco D’Alessano, primitivo, verdeca, ottavianello, susumaniello, aleatico e negroamaro. Tra questi spiccano i vigneti storici di primitivo, risalente al 1952, di verdeca, con alberelli di oltre 60 anni, e di negroamaro, con un’età media di 55 anni, con una produzione totale di circa 50.000 bottiglie, e l’aspirazione di arrivare a raddoppiare. Nonostante la struttura sia stata completata nel luglio 2024, il progetto Amalberga inizia nelle campagne ostunesi più di 10 anni fa. L’idea di rivalutare il territorio e la sua denominazione, poggiando su solide conoscenze agronomiche ed enologiche dell’agricoltura bio, è stato il primo passo per l’inizio di un processo di continua evoluzione per l’azienda. Amalberga ha progettato la sua cantina con uno sguardo al futuro e alla sostenibilità della struttura stessa che rispetta e risparmia il suolo, punta all’efficientamento energetico e permette un bilancio idrico a zero perdite, tramite la raccolta in ampie cisterne di tutte le acque piovane e il riutilizzo di quelle impiegate nelle diverse attività. Inoltre, l’intera parte produttiva è stata costruita nel sottosuolo, con la realizzazione di due piani interrati che collocano la struttura fino a 15 m di profondità. Le temperature costanti del sottosuolo consentono di operare vinificazioni e affinamenti nelle migliori condizioni possibili, in una situazione di massimizzazione del risparmio energetico e senza l’utilizzo di climatizzazione. Al piano terra della cantina si sviluppa l’area dedicata all’accoglienza circondata da un giardino di oltre 6000 mq in cui dimorano alberi di quercia e olivi secolari che ben si armonizzano con le forme lineari e pulite della struttura architettonica.