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L'intervista

Eugenio Boer: “Il fine dining è morto? Macché, la gente avrà sempre voglia di emozionarsi e stare bene”

29 Settembre 2024
Eugenio Boer e Carlotta Perilli Eugenio Boer e Carlotta Perilli

Lo chef di Bu:r: “Un ristorante è fatto di musica, parole, sorrisi e il piatto è un elemento di un insieme più grande. Dobbiamo ricordarci sempre che noi cuciniamo per le persone e non per l’ego”

Quante vite ha vissuto Eugenio Boer? La sua storia assomiglia più a una serie Netflix che alla normale vita di uno chef, professione in cui ha mosso i primi passi ad una età in cui la maggior parte di noi, passa il suo tempo sul divano di casa a guardare i cartoni animati. Liguria, Berlino, Milano, e anche soprattutto Palermo, una città che ricorda ancora con trasporto, e un pizzico di nostalgia, luogo in cui ha vissuto e cucinato a lungo e di cui ancora conserva nel cuore e nel menù un ricordo molto bello.

“La Sicilia è nei miei ricordi, nella mia mente, entra nei piatti, fa parte di me”, mi dice parlando di Palermo.

Lo incontro ad un tavolo del suo ristorante a Milano, Bu:r, la trascrizione fonetica del suo cognome, fortunato porto sicuro di relax e good vibes, un luogo dove quando si entra in un universo altro, parallelo, e colorato, una sorta di epoché sensorial-culinaria, di cui a Milano si sentiva davvero bisogno.

Molti conoscono Eugenio per l’avventura stellata di Essenza, episodio della sua carriera che ha avuto nel bene e nel male tantissima copertura mediatica, ma la carriera di Boer, è stata ed è molto altro.

Che ricordo conservi di quella esperienza?

“Essenza è stata un’esperienza bellissima con una brigata fantastica, arrivare alla stella Michelin con quella squadra è stato bellissimo, peccato per un finale amaro, ma come ho già detto non è dipeso da me”.

Il capitolo successivo è stato Bu:r, forse un’approdo definitivo per un’anima inquieta come te?

“Bu:r non è solo un ristorante è una casa, la mia casa, in sala c’è mia moglie, è come se fosse una stanza in più del luogo dove abito, dove ogni sera ad ospiti di tutti i continenti del pianeta racconto, assieme a lei, il mio mondo”.

Ripartiamo dall’inizio, visto che abbiamo iniziato col presente. Tutto inizia in Liguria?

“Sì, a sette anni ho lasciato l’Olanda per trasferirmi in Italia, e a 13 anni già facevo esperienze in locali, che poi col tempo sarebbero diventati importantissimi nell’alta ristorazione ligure, io facevo esperienza, e di mattina andavo sempre a scuola, ragioneria”.

Nel tuo curriculum ci sono tantissimi grandi nomi dell’alta ristorazione italiana ed europea, Kolja Kleeberg a Berlino, Gaetano Trovato a Colle Val d’Elsa, Norbert Niederkofler in Val Badia, cosa ti è rimasto di queste e di tutte le altre esperienze?

“Che si cucina per le persone, non per l’ego, che uno chef è prima di tutto uno che sa fare stare bene la gente, creare vibrazioni positive, generare bellezza, è quello che faccio ogni giorno, qui con mia moglie Carlotta. L’alta cucina mi ha insegnato che il ristorante è come un’orchestra, che i risultati, non li ottieni da solo ma se tutti suonano all’unisono con te, se tutti sanno cosa devono fare e lo fanno al meglio”

Strano sentirlo dire da uno chef, una categoria considerata tra le più egocentriche in assoluto.

“Se in un ristorante ci fossero solo i piatti sarebbe un self service, un ristorante non solo di alta cucina, tutti i ristoranti non sono self service, ci sono, persone, musica, parole, sorrisi, il piatto è un elemento di un insieme più grande, lo scopo di un ristorante non è solo farti mangiare bene ma farti stare bene, coinvolgere i 5 sensi”.

Torniamo a Palermo, sono qui per sapere di più su quegli anni, all’Osteria dei Vespri con Alberto Rizzo, bel personaggio della ristorazione palermitana…

“Sì. Con Alberto sono stati anni bellissimi, due esperienze, in mezzo c’è stata Berlino, in cui sono cresciuto tanto come uomo e come cuoco, la Sicilia è un paradiso per un cuoco, per la varietà e qualità degli elementi e per la contaminazione dei sapori”.

In pochi sanno che a Palermo con i tuoi genitori avevi aperto un locale, anche quello leggendario, Il Bacco e Le Veneri, una enoteca con cucina quando ancora non esistevano le enoteche con cucina…

“Vero. Tra l’altro simile ad un altro locale leggendario in cui sono stato molto bene, Enocratia, di Alberto Mingardi, sì ora è un format molto di moda, ai tempi non lo era per nulla, eravamo in anticipo”.

Un ricordo di quegli anni riguarda anche una cena all’Osteria Francescana passata alla storia…

“Esatto. Alberto venne prendermi a Monaco di Baviera era pieno inverno, io arrivavo in treno da Berlino si era conclusa la mia esperienza là, mi era tornata voglia di Palermo. Mentre affrontavamo il Brennero nel pieno di una nevicata, Alberto mi parlò di un giovane chef emergente a Modena di cui si iniziava a dire un gran bene, era Massimo Bottura”.

Credo sia valsa la pena di cambiare l’itinerario quindi?

“Certo, fu una serata speciale, che ancora ricordo benissimo, sia per l’atmosfera sia per i piatti, quello che si dice un’esperienza indimenticabile, in cui funzionava tutto. Anche dalle suggestioni di quella sera nasce il mio storico singature: Sicilia”.

Da Berlino via Modena?

“Quella sera mangiammo un dolce che si chiamava Sud, che aveva vinto quell’anno un premio come miglior dolce al congresso de Lo Mejor de La Gastronomia in Spagna. Era un dolce che riusciva a comunicare il sud con profumi e sapori e che è stato l’ispirazione per crearne uno mio dedicato alla Sicilia, che cambia sempre nella forma e negli ingredienti ma mai nello spirito. E’ un pre dessert che ho sempre nel menu da 12 anni, sempre reinterpretato, ogni volta una diversa emozione”.

Il fine dining è morto?

“Il fine dining non è morto e non morirà mai, la gente avrà sempre voglia di provare emozioni, di stare bene, regalare alle persone ricordi e magia, il fine dining non deve essere una questione di ego e protagonismi, ma racconto, emozione e storie. Quelle di chi cucina di chi serve, dei fornitori e degli ospiti. A tavola siamo tutti uguali, la tavola è quel luogo dove persone diverse con diverse storie e attitudine, si siedono per stare bene, se ci pensi bene seduti attorno a una tavola siamo, (più o meno) tutti uguali”.

Ogni volta che si esce dalla meravigliosa sala Bu:r, l’impatto col mondo caotico, rumoroso e così poco pertico è quasi shoccante, sarebbe bello che ci fossero più luoghi come questo in giro, e anche tante persone, persone prima ancora di chef, come Eugenio Boer, in missione ogni sera per regalare emozioni e ricordi belli ad altri esseri umani.