Da adolescente decide di seguire il suo sogno: girare il mondo. Per qualche anno va via di casa, poi il richiamo delle sue origini lo riporta a casa dai suoi genitori, e qui, nel posto da cui aveva voluto allontanarsi trova la strada che lo porterà ad entrare in contatto con i territori più diversi e a diventare l’affinatore più famoso di Francia.
Così Hervé Mons (nella foto), incontrato in questi giorni a Bra dove espone con un suo stand, si racconta in breve. Lo abbiamo intervistato per carpire i segreti di questo mestiere che in Francia venerato come anello cardine dell’intera filiera. Figura ancora poco riconosciuta nel nostro paese, basti pensare che in Italia per ogni affinatore ve ne sono 15 oltralpe.
Come è diventato Hervé Mons?
Coniugando l’esercizio del rigore e la voglia di viaggiare. Provengo da una famiglia storica di affinatori, ma non volevo seguire le loro orme, come fanno tutti gli adolescenti. Andai per qualche anno fuori. Poi qualcosa mi riportò a casa. Ho cercato per i primi tempi di trovare lavoro come agente o manager aziendale per coniugare il lavoro alla mia passione per il viaggio. Poi mio padre mi disse un giorno: Se vuoi veramente viaggiare ti mando da tutti i produttori di formaggio di Francia a osservarli e ad imparare. Quando cominciai ad entrare in contatto con personaggi, storie, culture realizzai cosa veramente volevo diventare”.
Ma questa vocazione, scoperta in seguito, l’aveva però nel dna, l’ha ereditata?
Crescendo in questo ambiente certo ho assorbito l’arte, il processo di apprendimento è stato naturale. Però è con il duro lavoro, l’esperienza, e l’apertura al mondo che si diventa affinatori, è esercizio, osservazione, costanza e capacità di fronteggiare situazioni che sfuggono al controllo dell’uomo.
Cosa significa essere affinatore?
E’ uno dei lavori più difficili che si possa esercitare. Essere affinatore significa assumere su di sé tutto il peso della responsabilità. Responsabilità che si deve avere prima di tutto con sé stessi e poi con produttori e consumatori. L’affinatore è l’anello che lega da un lato chi ha speso tanto per produrre una buona materia prima, lavorando in condizioni difficili, estreme, come gli allevatori, e chi è disposto a spendere e a riconoscere al prodotto il valore nutrizionale e culturale che possiede. Sento sempre forte questo senso di responsabilità. Perché da te dipende la sopravvivenza di questa catena e del territorio stesso. E un ruolo critico e non per nulla privilegiato come pensano i francesi. Si ha un’immagine idilliaca, sbagliata, di questo mestiere.
Quindi qual è il segreto dell’affinage?
Il rispetto. L’affinatore devi immaginarlo come un padre. Io sono il padre dei miei formaggi. Accogli la materia prima come accoglieresti un neonato. Poi devi farlo crescere, portarlo a maturazione. Non devi importi su di lui, non puoi soffocarlo. Devi rispettare le sue qualità e accompagnarlo in questo percorso di maturazione. Facendo in modo che metta a frutto queste qualità, assecondarle e fare in modo di esaltarle, sempre nel più profondo rispetto e con tantissima cura.
A proposito di maturazione, si parla sempre di più di longevità del formaggio come qualità di pregio, cosa ne pensa?
Si, si comincia ad esaltare il concetto di longevità come si fa oggi nel mondo del vino. Non sono d’accordo. Non bisogna per forza portare un formaggio a maturare per non so quanti mesi. Il formaggio deve essere mangiato quando è buono e basta.
Cosa pensa dei formaggi siciliani?
Sono interessanti. Sono venuto parecchie volte al Cheese Art. Apprezzo tanto il lavoro che porta avanti il presidente di Corfilac Giuseppe Licitra e mi piace tantissimo la Tuma Persa.
Manuela Laiacona