Chiamatelo Catarratto o chiamatelo Lucido. Poco importa. Sempre più in Sicilia si torna a puntare e a credere in questa varietà di uva che rappresenta insieme al Catarratto Bianco Comune il 30% della superficie regionale vitata, per un totale complessivo di 90.000 ettari.
Una storia di riscatto, di produttori che hanno deciso di dedicare molta più attenzione rispetto al passato. A tal punto che qualcuno comincia a considerarlo in prospettiva più importante del Grillo, che oggi è il vitigno a bacca bianca siciliano più prodotto e molto apprezzato.
Una crescita esponenziale quella del Lucido rispetto al Catarratto Bianco Comune che negli anni ha dimezzato gli ettari. Per il primo, invece, i numeri vanno solo in positivo. Se nel 2000 gli ettari impiantati a Lucido erano 343, si è arrivati nel 2010 ad averne 6.121 e nel 2021 15.661. Oggi le due varietà di uva, Catarratto Bianco Comune e Catarratto Bianco Lucido occupano rispettivamente 16.659 e 14.125 ettari, in particolare nella Sicilia occidentale, da Trapani e Palermo.
È l’uva più diffusa in Sicilia ma troppo spesso bistrattata e poco considerata. Ritenuta per anni una varietà poco interessante e non consigliata. Il “brutto anatroccolo” dell’enologia dell’Isola che oggi inizia a splendere e a prendere un posto di un certo rilievo e merito tra i bianchi dell’Isola.
Il fermento Catarratto ha già coinvolto il Consorzio Vini Doc Sicilia che ha avviato un progetto, V.I.S.T.A. (Valorizzazione Innovativa e Sostenibile dei Terroir delle varietà Autoctone) Lucido, finalizzato alla valorizzazione dell’omonimo vitigno. “È chiaro che lo studio miri ad approfondire vari aspetti – ci dice Giuseppe Bursi, vicepresidente del consorzio – ma soprattutto si vuole capire cosa si può esprimere questo vino a determinate condizioni. Da lì ci poniamo come obiettivo quello di costruire un percorso virtuoso”. Un progetto che vede la collaborazione del presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella: “Le qualità di un vitigno dipendono sempre dagli uomini e dalle persone. Si sta sperimentando e provando e si vede che è un vino dotato di grandi caratteristiche, dall’olfatto gentile ma deciso”.
Sono complici di questa rinascita i movimenti che stanno nascendo a protezione e valorizzazione di questa uva. Come il produttore Sebastiano Di Bella che insieme a un gruppo di colleghi ha in mente di creare un sodalizio nel nome di questo vitigno puntando a evidenziarne le sue peculiarità soprattutto quando è coltivato ad altitudini superiori a 400 metri. Ormai è certo che quando è coltivato in determinate condizioni vengono fuori vini con caratteristiche di eleganza e di longevità. Quelle caratteristiche che oggi il mercato più evoluto cerca in modo spasmodico.
E poi ci sono i Catarratto Boys, produttori di Alcamo che il 14 giugno raccontano la rivoluzione di un territorio, vocato in modo particolare alla coltivazione di questo vitigno. Un evento che nasce per conoscere le diverse interpretazioni e potenzialità del Catarratto, frutto di una rivoluzione guidata da una generazione di produttori che ha intuito le enormi potenzialità di questa uva. E si potrà godere di tutte le sfaccettature derivanti da diverse tecniche di vinificazione, da macerazioni e dal rispetto di un frutto dal forte temperamento. “Qui ad Alcamo – ci racconta Maria Possente dell’omonima azienda – crediamo tantissimo nel nostro territorio. In questa uva e nelle sue potenzialità. Siamo un gruppo coeso, che scommette e riesce a produrre vini buoni. Siamo certi che anche i consumatori sappiano apprezzare questo prodotto”.
Nonostante il Consorzio abbia deciso di identificarlo come Lucido, diversi produttori sono fedeli al nome storico e lasciano in etichetta il nome tradizionale Catarratto, simbolo di identità. Lo fa Luigi Stalteri che con Cantina Longarico produce quattro etichette differenti di Catarratto: “A parte la passione l’uva di Alcamo ho notato fin dall’inizio tutte le varie sfaccettature che poteva questa varietà offrire. Sta dimostrando di non essere una moda ma una varietà che sta lsaciando la sua forte impronta anche per l’avvenire con tutte le evoluzioni che potrà avere. Stiamo capendo in che direzione andare grazie alla sua versatilità”.
Lo conferma anche Enrica Spadafora, produttrice Dei Principi di Spadafora: “Noi lo produciamo da tantissimi anni e insieme al Grillo è uno dei vini di riferimento. Lo proponiamo come vino senza orario, freschissimo, fruttato ma non pesante. Caratterizza la nostra terra. Il Grillo è conosciuto da tutti, il Catarratto è quella chicca divertente che ti stupisce sempre”.
Per avere un buon vino, che esprima caratteri varietali importanti, oltre ai territori in tutte le sue sfaccettature, è necessario avere suoli fertili dove non manchi mai l’acqua. “In tempi non sospetti, nei primi anni ’90, ho iniziato a lavorare e a sperimentare il Catarratto e ci ho realizzato vini importanti”. È stato uno dei pionieri, l’enologo Tonino Guzzo. Lo ha fatto puntando su un blend con Catarratto per poi trovare un luogo di elezione sulle alte colline di Valledolmo, in provincia di Palermo, con l’azienda Castellucci Miano, che ha puntato totalmente su questo prodotto. Ed infatti il suo Shiarà è uno dei Catarratto in purezza di riferimento e molto apprezzato per la sua eleganza e soprattutto longevità. Ma ci è riuscito anche con ottimi risultati nell’azienda Gorghi Tondi, a Mazara del Vallo, di Annamaria e Clara Sala.
Le aziende che non ci credevano adesso lo fanno. Investono e producono. Ma c’è chi ci ha sempre creduto ponendolo come punto di riferimento dell’intera azienda, come Sebastiano Di Bella con i suoi vitigni nel Comune di San Giuseppe Jato: “La mia prima etichetta Catarratto è del 2011 ma l’innamoramento è scattato nel 2016”. Di Bella lo coltiva a 500 metri di altitudine e ha avviato un percorso con l’Università degli Studi di Palermo, insieme a Nicola Francesca, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali. È nata così una pubblicazione scientifica che spiega come questa uva e questo vino stiano cambiando in modo totale nel pensiero dei consumatori ma in primis dei produttori. “Io ho puntato sul Catarratto – ci dice Di Bella – perché più ci lavoravo più vedevo i risultati a livello di profumi, equilibrio e soprattutto longevità”.
“È un’eufemismo dire che il Catarratto fosse poco considerato”, racconta ancora Tonino Guzzo. Si tratta del genitore del Grillo, nato molti anni prima. Ma è anche un’uva decisamente più delicata. “Con il Grillo – continua Guzzo – è difficile produrre un vino cattivo. Siamo stati in pochissimi a puntare su questa varietà enologicamente più difficile da trattare”. Era quindi più semplice lavorare sul Grillo, ce n’era meno e l’interesse cresceva. Adesso si inizia a capire che questa varietà nuova ma decisamente molto più antica, esalti in tutto e per tutto i sapori e i profumi dell’Isola.
“Non è per nulla una varietà scadente – ci dice ancora Bursi, che è anche presidente della Settesoli di Menfi tra le realtà cooperative più importanti del Sud Italia – ma si sta vedendo come in alcuni aerali dia vini di sicura qualità ed eleganza”. E anche la Settesoli sta iniziando a sperimentare per inserire il Catarratto nel marchio top di gamma Mandrarossa.
Un tempo scrivere in etichetta la parola Catarratto era quasi una vergogna. Ora si punta su un vitigno che ha molteplici espressioni e che dura nel tempo. Ma soprattutto che rende, sempre di più.