Con i piedi tra le zolle ma con gli occhi sempre rivolti verso il cielo. Questa è l’immagine di Fabrizio Bindocci, amministratore delegato della Tenuta Il Poggione, a Montalcino. Perché il cambiamento climatico preoccupa nel mondo del vino e obbliga le aziende a mettersi ai ripari e a trovare soluzioni per arginare il problema.
Tenuta Il Poggione è una realtà consolidata: primo mercato per l’export (a quota 85%) sono gli Stati Uniti, seguiti da Canada e Nord Europa, in particolar modo la Germania. “Chiudiamo bene quest’anno – ci racconta Fabrizio Bindocci – anche se abbiamo assistito a una perdita di produzione dell’uva che va dal 10 al 15%”.
Bindocci ama definirsi un uomo di campagna, arrivato al Poggione nel 1976 come operaio agricolo e con un contratto a tempo determinato. Oggi è amministratore delegato ma segue i lavori in prima persona e ci parla di come l’azienda si è dovuta adattare ai cambiamenti di clima e di novità del settore.
Era il 1890 quando Lavinio Franceschi creò la tenuta. Famiglia, tradizione e amore per la terra fanno da sfondo alla storia dell’azienda, oggi di proprietà dei fratelli Leopoldo e Livia Franceschi. Una tenuta di 600 ettari con 125 ettari di vigneti. La produzione totale è di circa 700mila bottiglie di cui 200/250.000 Brunello e 200.000 di Rosso di Montalcino Rimante Moscadelli Rosato da Sangiovese, igt Toscana Rosso e Bianco Vinsanto S. Antimo. Ci sono però anche le annate a 5 stelle in cui viene prodotto un cru, il Villa Paganelli Riserva per 40mila bottiglie. Il prossimo sarà fatto con l’annata 2019 e sarà messo in commercio nel 2025.
Al Poggione ci sono anche 12mila olivi con una produzione media di 100 qli di olio EVO.