Le piogge sono scarse, le pecore siciliane non trovano erba da brucare e producono poco latte. Precipitazioni insufficienti a nutrire i campi e farli crescere rigogliosi stanno creando grosse difficoltà agli allevatori isolani, costretti a nutrire gli animali, ghiotti di erbe, foglie e germogli, con residui di foraggi degli anni precedenti o con mangimi. Il risultato è una produzione di latte dimezzata rispetto agli anni passati. “Il 2023 è stato un anno infausto per gli allevatori perché nella prima parte dell’anno non ha piovuto – spiega Saro Patriglieri, ricercatore del Corfilac di Ragusa, il Consorzio per la ricerca nel settore della filiera lattiero casearia, per il quale si occupa di gestione degli allevamenti e trasformazione del latte – C’era poco foraggio che alcuni allevatori hanno sfalciato nella speranza di salvare il raccolto che rischiava di andare perduto per carenza d’acqua. A quel punto, però, ha iniziato a piovere e il fieno raccolto è praticamente marcito nei campi. Quello che non era stato raccolto, è diventato duro, legnoso, non digeribile per gli animali. La maggior parte delle aziende si è ritrovata con un prodotto di pessima qualità e circa l’80 per cento degli allevatori, completamente senza foraggio. Qualcuno aveva ancora un po’ di scorta dell’anno precedente, ma la maggior parte è arrivata all’estate scorsa con foraggi marci e frumento fuligginoso, preferendo nutrire gli animali con la paglia. Anche a settembre non ci sono state piogge e le pecore, che generalmente iniziano a partorire tra fine agosto e settembre, quando normalmente c’è un minimo di disponibilità di pascolo, quest’anno si sono dovute accontentare di foraggi anche nel periodo della maggiore montata lattica, foraggi che normalmente si usano poco perché gli ovini sono ruminanti che hanno bisogno di andare nei campi a cercare nutrimento. Qualche allevatore del corleonese o dell’altopiano ibleo è riuscito a cavarsela, ma la maggior parte è in seria difficoltà perché tutto questo ha fatto lievitare enormemente i costi di gestione degli animali”.
“La situazione è complessa e a macchia di leopardo nell’Isola – aggiunge Sebastiano Tosto, presidente della Rete Ovinicoltori siciliani che raggruppa una sessantina di allevatori delle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna e Palermo – Sta andando un po’ meglio in collina e male lungo la costa. In generale posso dire che in Sicilia si allevano 800 mila capi che, in una situazione ottimale, danno circa 100 milioni di litri di latte. Oggi siamo a non più di cinquanta. Fino alle scorse stagioni, parte del nostro latte, in eccedenza rispetto al fabbisogno isolano, lo vendevamo anche ad altre regioni italiane dato che siamo i maggiori produttori nazionali dopo la Sardegna. Quest’anno non sarà sufficiente nemmeno per noi. Tra l’altro, il latte oggi si vende a 1,40 euro al litro ma con i costi per mantenere e nutrire le pecore che sono lievitati parecchio e perché sia davvero remunerativo per l’allevatore, dovrebbe essere pagato almeno a due euro al litro. Questa carenza di latte si ripercuoterà ovviamente sul mercato caseario, mettendo a rischio innanzitutto le produzioni di formaggi dop siciliani che necessitano di latte locale e poi, più in generale, quella dei pecorini”.
Per salvare in parte la stagione, servirebbero le piogge, immediate e abbondanti “ma ciò che perso è perso”, dice Tosto. “Piuttosto – continua il presidente degli ovinicoltori – con i cambiamenti climatici in atto e le piogge sempre più scarse, bisognerebbe cambiare le politiche irrigue e ripensarle in una chiave più attuale. Inoltre bisognerebbe anche rivedere con più attenzione la distribuzione dei margini che, al momento, sono a tutto vantaggio di chi trasforma e vende e non di chi produce. Le pecore sono un bene prezioso per la Sicilia, non solo per il latte che ci danno ma anche perché fanno un diserbo meccanico delle nostre colline e con gli ovinicoltori sono custodi dei nostri territori che proteggono e tutelano”. Tutto questo non andrebbe mai dimenticato.