Sulla trita questione del genere grammaticale avevamo risolto alla buona: scriviamo arancin* così. Parlandone ci affidiamo invece al buon senso di ciascuno: che sappia tener distinto il paradigma linguistico dalla cosa in sé, non confondendo – se non per scherzo – l’opposizione “maschile/femminile” (che è dell’ordine della lingua) da “maschio/femmina” (che è dell’ordine dei corpi). Resta il fatto che, se pure l’arancin* è nella cucina quel che l’ornitorinco era per la classificazione di Linneo (pezzo di rosticceria, antipasto, primo, secondo, street food?), i turisti l’adorano anzichenò, al punto che l* si trova dovunque in Sicilia, in banconi di bar o in tavole gourmet, oltrepassando i confini di ogni localismo gastronomico, di ogni tipicità storica e geografica. Insomma, di fronte al danaroso visitatore straniero, le divisioni ataviche che l’asterisco prova già a neutralizzare si afflosciano definitivamente, facendo dell’arancin* un simbolo indiscusso del gusto siciliano più caratteristico.
Ma c’è un altro aspetto di questo segno che incuriosisce (e che forse spiega, in parte, il suo planetario successo): non è che si tratti di un simbolo (anche) sessuale? Le forme esteriori dell’oggetto aiutano a rispondere: rotonda oppure oblunga, esse allieterebbero i discorsi una volta distesi nel lettino dello psicanalista: le analogie figurative con gli organi riproduttivi sono evidenti. C’è poi la questione della consistenza, della compattezza esteriore che contrasta con la morbidezza interna, facendo di questo ornitorinco gastronomico un più evidente richiamo a quei medesimi organi, non appena in azione, più che per la forma per la loro sostanza. Infine, senza scadere nel trash, c’è una ulteriore ragione, meno legata alla lenzuola e più alle (non) buone maniere a tavola: l’arancin* occorre saperl* mangiare, gestendo con perizia – acquisita nei secoli di prove ed errori – la sua tendenza a sfaldarsi, e conseguentemente a sporcarci. Mangiandol* rigorosamente con le mani, come protocollo ancestrale richiede, c’è sempre il rischio di veder caracollare pezzi di riso, e loro condimento, sulla camicia o sui pantaloni. Di modo che sarà difficile trovare l’arancin* a un pranzo di gala, con tanto di dame ingioiellate e pezzi grossi dell’ambasciata. Un po’ come il cannolo (altro grande simbolo siciliano), l’arancin* si mangia soltanto con chi coltiviamo una certa intimità, con chi possiamo abbassare la guardia del bon ton, con chi, insomma, condivide con noi una certa voglia di trasgressione nella cura del corpo sociale. Trasformandolo, se del caso, in corpo erotico.