Da sinistra Giuseppe Benanti, Marc de Grazia e Alberto Graci Aiello
“Un cambiamento per non far cambiare l’identità del territorio”, così Alberto Graci sintetizza il senso delle modifiche apportate alla Doc Etna
facendosi portavoce dell’umore dei produttori del consiglio di amministrazione del consorzio di tutela che hanno lavorato al progetto. I nuovi paletti, i primi ad essere stati introdotti nel disciplinare dopo 40 anni dalla sua pubblicazione, sono il segno della volontà di blindare la produzione in loco. “L’obbligo di imbottigliare in zona e l’indicazione della contrada di provenienza del vino sono le più importanti novità che meritano attenzione, introdotte per non intaccare la doc mantenendo ciò che è sempre stato tutelato originariamente dal disciplinare”, dichiara il produttore il quale accoglie con favore la direttiva sulla tracciabilità della zona. “Anticamente ci si riferiva al vino della contrada di provenienza. Adesso abbiamo la possibilità di valorizzare ciò che viene indicato nelle mappe antiche. Così si rafforza ancora di più la territorialità del vino dell’Etna – e aggiunge -. Meglio che il cambiamento sia stato fatto adesso e non prima, magari quindici anni, fa sulla scia dei vitigni internazionali, ci saremo ritrovati nel disciplinare il Cabernet”. Il patròn di Tenuta delle Terre Nere, Marco De Grazia, anch’esso membro del consiglio d’amministrazione, lega il ritardo nella modifica del disciplinare al fermento che sta vivendo il mondo viticolo etneo e ad una maggiore forza del consorzio. “In zona oggi ad imbottigliare vino sono una sessantina di aziende, prima non erano nemmeno quindici, e grazie alla guida del nuovo presidente Mannino finalmente si stanno apportando tutte quelle manovre per migliorare lo stato della produzione sull’Etna anche con quegli adeguamenti tecnici di quei parametri che erano presenti nella doc e che erano non idonei, addirittura alcuni assurdi. Queste modifiche – prosegue – non fanno altro che valorizzare la diversità enorme che ricade all’interno della Doc è poi un modo per proteggere il cliente e dare in mano agli organi di controllo più strumenti per controllare la provenienza del vino”. Per quanto riguarda le bollicine per De Grazia non si tratta di una trovata in linea con la tendenza del momento ma del recupero di una tradizione che ha sul territorio radici lontane nel tempo. “Ci sono documenti che risalgono all’800 che attestano la produzione di spumante. Non abbiamo inserito niente di nuovo”. Giuseppe Benanti, produttore storico dell’Etna Doc, l’imprenditore che ha fatto moltissimo per sdoganare i vini di questo territorio parla con soddisfazione delle modifiche al disciplinare. “Era ora, è un modo per rendere ancora più competitivi e interessanti i vini dell’Etna. Ma non possiamo fermarci. Credo che i produttori debbano ora spingere per ritoccare ancora il disciplinare, alzare l’asticella della qualità e magari cerare i presupposti per chiedere una Docg sull’Etna. Credo che il territorio la meriti ampiamente, tocca a noi muovere i primi passi”. Il traguardo delle modifiche del disciplinare portano anche la firma di Michele Scammacca del Murgo, altro produttore etneo che, nelle vesti di presidente del consorzio, ha avviato le prime richieste alcuni anni fa per cambiare le regole dell’Etna Doc. “Sono contento, era necessario modificare il disciplinare. Quello del ’68 ancora in vigore fu scritto da accademici che non si misurarono con il territorio. Alcune cose, come la quantità ammessa di estratto secco era fuori dal tempo. Credo che nelle modifiche apportate anche quest’aspetto sia rivisto. Le bollicine Etna Doc? Mi fa piacere, io a questa tipologia di vino ho creduto molto, produco tre etichette di spumante ma non credo che rivendicherò la Doc. Il regime dei controlli e la burocrazia mi scoraggiano a fare questo passo”. Per Salvo Foti presidente del Consorzio dei i Vigneri, enologo e prfondo conoscitore dell’Etna, le nuove maglie del disciplinare possono essere valide ma se inserite in un più ampio progetto di tutela che preservi la viticoltura tradizionale. “Bisogna lavorare nel rispetto del territorio e degli uomini. Recuperare le pratiche che da sempre si sono seguite nel territorio, visto in termini anche di risorse culturali, paesaggistiche”.
Manuela Laiacona