Ajello sceglie la strada dei lieviti autoctoni con l’attivazione di un laboratorio che dal prossimo anno sarà deputato alla sperimentazione microbiologica.
Lo fa sapere il produttore della cantina di Mazara del Vallo, Salvatore Ajello che annuncia un progetto di produzione sempre più orientata alla territorialità, alla valorizzazione delle cultivar autoctone e ad una gestione della vigna con il minor impatto ambientale. “Il mercato chiede vini autoctoni di buona qualità. Tutti noi produttori ci siamo oramai orientati agli autoctoni. Ciascuno poi esprime le diversità a secondo il territorio di origine. Penso che utilizzare i lieviti naturali sia un supporto aggiuntivo per la distinzione territoriale del vino ”, spiega il produttore. La fermentazione naturale senza lieviti aggiunti non è la sola metodologia per salvaguardare l’unicità del vino, da un anno altre sono state adottate dalla cantina per preservare l’apporto del frutto stesso. “Già dalla scorsa vendemmia, per le uve bianche abbiamo deciso di ricorrere per tutta la filiera, sin dalla fase di trasferimento, all’anidride carbonica”. E aggiunge sulla lavorazione dei rossi: “Facciamo la microssigenazione per preservare il corredo aromatico ed il colore”. Se per Ajello il vino deve solo parlare di territorio, nel caso di Mazara del Vallo vi deve essere anche una denominazione che lo tuteli.
Questo l’appello più volte lanciato dal produttore: “Auspico una variazione della Doc Delia Nivolelli, ad oggi utilizzata solo da due cantine del territorio, ci vuole una denominazione più aderente a tutto il territorio della Val di Mazara. Significherebbe allargare le maglie territoriali di quella attuale e stringerle come disciplinare per valorizzare i vini autoctoni”. La proposta di una Doc Val di Mazara, come tutte le doc, per il produttore sarebbe poi una carta che andrebbe giocata insieme a quella della Doc Sicilia, verso cui si pronuncia favorevolmente. “La vedo come uno strumento per tutelare la qualità del prodotto originale reale. Un modo per far rimanere il valore aggiunto nel territorio. Altrimenti dobbiamo continuare ad assistere ad un valore che sfugge dalla Sicilia se continuiamo a consentire che produttori di fuori imbottiglino il nostro vino sfuso. La Doc Sicilia può andare bene solo se valorizza però le sottozone”. Sul pronostico positivo il produttore riserva anche un po’ di scetticismo: “La vedo per ora come tutte le cose siciliane. Credo che ancora si perderà del tempo però è un progetto che credo utile per difendersi anche in questo momento particolare in cui dobbiamo confrontarci con altre nazioni mentre il mercato chiede vino di alta qualità a prezzo basso”.
Manuela Laiacona