Aria di cambiamento per la Campania del vino, ma il percorso sembra ancora incerto e le discussioni ancora aperte. Qualche tempo fa sono infatti stati presentati a Napoli presso la sede della Regione Campania a Santa Lucia i risultati dello studio affidato all’Istituto di consulenza strategica e ricerche di mercato Nomisma, dal titolo “La Campania del Vino e il regional branding”. All’evento hanno preso parte gli assessori Nicola Caputo e Antonio Marchiello, oltre a diversi relatori, ovvero: Denis Pantini – Responsabile Agroalimentare Nomisma; Chiara Giovoni – Esperta di Marketing strategico e comunicazione; Carlo Alberto Panont – Agronomo e direttore del Consorzio Garda Doc; Antonio Rallo – Presidente del Consorzio Vini Doc Sicilia; Germana Di Falco – Esperta di Politiche di Coesione e Sviluppo Territoriale.
Un tema davvero importante, ma che sembra essere stato affrontato in sordina dai più, eppure le questioni da mettere in luce sono tante e va anche compreso se effettivamente la creazione di una Doc regionale Campania, permetta davvero di fare massa critica per essere maggiormente visibili su mercati internazionali altamente competitivi. Lo studio svolto dalla Società Nomisma ha cercato di dare contezza sulla percezione dei vini campani presso i consumatori, nonché gli operatori della ristorazione e della distribuzione e di rilevare il posizionamento in Italia e nel mondo. Posizionamento competitivo, conoscenza, percezione e notorietà delle denominazioni campane, performances di mercato e il ruolo dei vini campani nel sistema vitivinicolo nazionale, questa l’indagine condotta da Nomisma – Wine Monitor, uno studio che fa parte del più ampio progetto proposto dall’Assessore all’Agricoltura Nicola Caputo.
Dalla ricerca – come ha dichiarato Caputo in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’indagine – emerge la necessità di una migliore percezione dei nostri vini sui mercati nazionali e internazionali e il bisogno di una razionalizzazione delle nostre indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine. Da qui l’idea di creare la Doc Campania per avere un “marchio unico che rafforzi il brand Campania”. Ed è già stato avviato un percorso che va in questa direzione. Senza dubbio la Regione Campania ha fatto della sua variegata biodiversità un punto di raccordo e di forza, va anche dato per scontato che il mercato è cambiato e che probabilmente l’eccessiva frammentazione e la creazione di micro Doc, non sempre frutto di studi e di aderenze territoriali, creino confusione, ma forse prima, per parlare di brand Campania e rendere più fruibile la conoscenza e il consumo dei vini di questa complessa regione, andrebbero rivisti i disciplinari di tante denominazioni e senza dubbio andrebbero enfatizzati discorsi legati ad un’attenzione maggiore per portare e far crescere sempre più la qualità dei prodotti, evitando “massificazioni”, che potrebbero determinare una perdita qualitativa della macro denominazione stessa.
Quello che forse lascia con un grande punto di domanda è se tra i tanti produttori ci sia la reale presa di coscienza di ciò che potrebbe o in un certo senso sta accadendo. L’inizio di settembre, infatti, sarà dedicato ad una serie di incontri per provincia – iniziati già a fine luglio presso il CdT Sannio (sede de La Guardiense) – che hanno l’obiettivo di condividere con tutti i produttori e le associazioni di categoria i futuri elementi di questa eventuale Doc Campania. Ma siamo sicuri che questa strada porterà ad un’effettiva valorizzazione e sviluppo del territorio? Questione di metodo o di obiettivi? Come può una doc così ampia, tutelare territori così diversi?
La produzione campana – secondo i dati del 2022 – si attesta su 535.560 ettolitri (40% rosso e rosato e 60% bianco), con l’1% di incidenza sul totale della produzione in Italia. Il trend dell’export è in crescita, ma incide solo per l’1% sul totale delle esportazioni italiane, mentre le vendite nella Grande distribuzione organizzata (Gdo) sostengono che il peso del vino campano sul totale del vino italiano è del 2,4%. La Falanghina del Sannio Doc la fa da padrone in termini di volumi, seguita dal Greco di Tufo Docg e dal Fiano di Avellino Docg. Fuori regione, risulta che il pubblico per il 54% non conosce o ricorda le denominazioni Doc e Docg campane, ma senza dubbio rileva la qualità dei vini prodotti in regione.
Ascoltando i pareri di alcuni produttori delle diverse provincie, come Mario Mazzitelli, Vicepresidente Consorzio Vini Salerno, Luigi Maffini, Fabio de Beaumont e ancora Nicola Di Iorio della Federazione Medie e Piccole imprese della Campania, emergono alcuni dubbi, ossia se effettivamente la creazione di una nuova Dop così generica sia la strada ottimale da perseguire.
Il timore, secondo alcuni dei produttori citati, è che questa unica Macro Doc, non solo spersonalizzi le tante diversità presenti, ma produca l’effetto di un livellamento verso il basso di produzioni di alta qualità, portando ad una omologazione e un impoverimento del territorio, specialmente in un territorio come la Campania, ricco di grande eterogeneità sia dal punto di vista pedologico, varietale e climatico. Il “brand Campania” potrebbe sicuramente essere più utile ed efficace nel caso di tanti prodotti alimentari, ma poco si presta al settore vitivinicolo. Non sarebbe meglio valorizzare l’Igt Campania già esistente, rendendola l’unica nella regione, lasciando quindi la scelta al singolo produttore di collocarsi o meno sotto questo cappello? Inoltre, non è detto che il modello seguito dalla Sicilia, ad esempio, sia ugualmente valido per la Campania, visti anche i volumi produttivi completamente diversi. Del resto in questi anni si è anche puntato molto sulla definizione delle singolarità e peculiarità della Campania, forse, quindi, sarebbe opportuno razionalizzare e rendere più leggibili queste differenze, senza però svalutarne i prodotti.
Va poi detto che proprio alla luce di queste perplessità, si sta prendendo in esame la proposta derivata dal gruppo guidato da Stefano di Marzo, in qualità di presidente provinciale della Cia, Confederazione Italiana Agricoltori di Avellino, che ha sollecitato l’Assessore a strutturare diversamente la Dop Campania, facendola camminare su una differenziazione tipologica, ossia Dop Campania bianco, rosato, rosso e spumante, ma senza toccare i varietali; e se proprio di vitigni si deve parlare, casomai puntare sui due vitigni cardine quali l’Aglianico e la Falangina, varietà trasversali e presenti su tutto il territorio regionale. Quello che è auspicabile è che, nei prossimi mesi, gli attori protagonisti di questo settore produttivo siano e si sentano coinvolti in prima persona, cercando di leggere i dati come opportunità di confronto e come capacità di portare avanti quello che può effettivamente determinare una crescita unitaria e qualitativa del prodotto vino. Probabilmente, per ottenere questa crescita, bisognerebbe anche pensare a dare valore a chi produce le uve, che in un discorso produttivo qualitativo dovrebbe essere alla base.