Attenzione a non inciampate in equivoci e a fare (di conseguenza) confusione: perché il rischio, in questo senso c’è eccome. Alla voce “renaiola” infatti, sfogliando le pagine (cartacee o virtuali) di un vocabolario, troviamo più o meno questa definizione: pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Cariofillacee, provvista di steli alti, foglie sottili e fiori bianchi disposti in pannocchie, di frequente coltivata come foraggio. Ma lungo l’asta dell’Arno, in particolare lungo il segmento del suo corso che attraversa la provincia e la città di Pisa, il termine “renaiola” viene più immediatamente associato a una preparazione alimentare: per l’esattezza a quel condimento, pensato per un primo piatto, la cui ricetta prevede l’impiego di aringhe, cime di rapa e pomodori. Direte: e cosa c’entrano le due cosa l’una con l’altra? Onestamente niente. Perché la salsa in questione deriva in realtà il suo battesimo dalla definizione di “renaiolo” o “renaio”; ovvero l’operaio che, fino alla prima metà del Novecento, spostandosi appunto sull’Arno a bordo di appositi barchini, era addetto al prelievo della sabbia (in Toscana la “rena”), destinata a essere usata in manifattura: ad esempio in edilizia (per l’impasto di materiale da costruzione) o in siderurgia (per la realizzazione di stampi in cui modellare il metallo fuso). Ecco, nel nostro caso parliamo ovviamente del significato attinente alla tavola: la “pasta alla renaiola”, così chiamata in quanto pasto principale proprio di quei lavoratori, di quei naviganti d’acqua dolce.
UNA PIETANZA SEMPLICE E POPOLARE
Accanto agli ingredienti già citati, la preparazione ne include altri; non molti, in realtà: aglio, olio extravergine d’oliva, peperoncino tritato e sale. E assemblarli non è affatto impegnativo: grosso modo la procedura è quella che segue. In una pentola, si avvia la cottura della pasta: il formato “rituale” è la trenetta; su un tagliere si triturano finemente le cime di rapa; sul fondo di una padella, si appronta un soffritto con l’aglio, il peperoncino e l’aringa, a loro volta ben sminuzzati; ottenutone un composto fluido e omogeneo, si aggiungono nell’ordine la rapa, dei pomodorini a spicchi e un po’ dell’acqua di bollitura delle trenette (nel frattempo scolate al dente); infine, si unisce al tutto la pasta stessa, saltandola e ultimandone la cottura direttamente in padella.
UN GUSTO INTENSO
Il profilo sensoriale del piatto presenta alcune caratteristiche ben definite: vediamole in rapida carrellata. In tavola abbiamo un’intensità complessiva elevata (che ne presuppone una di pari grado nel bicchiere); poi un basso contenuto in grassi (il che non implica, nella sorsata, chissà quali energie, in termini di acidità, bolla e alcol); inoltre ci troviamo di fronte a un gusto incline alle spigolosità: l’amaricante della cima di rapa, la piccantezza dello stesso ortaggio e del peperoncino, la sapidità dell’aringa (e allora la bevuta dovrebbe essere nel complesso morbida); infine abbiamo, nella “renaiola”, un olfatto di timbro prevalentemente agliaceo e ittico: parametri che richiederebbero la capacità detergente di una birra dotata di pH basso, il quale tuttavia non può esserlo troppo, pena il rischio di andare a urtare il già citato amaro della rapa. Insomma, un discreto rompicapo; che abbiamo provato ad affrontare con le tre soluzioni qui riportate…
CON LA WEIZENBIER
Di certo, una Weissbier, morbida e acidula lo è; il punto è farsi piacere quella sua dominante odorosa (statisticamente stucchevole) in cui s’intrecciano primariamente banana e chiodo di garofano: e di accettare il loro mischiarsi alla poc’anzi citata aromaticità “ittico-agliacea” della renaiola. Un’opzione interessante è puntare non sulla canonica versione non filtrata, la Hefeweizen, bensì sulla variante limpida, la Kristallweizen: tendenzialmente più articolata nell’aroma (con una fresca nota di limone, a limitare le “pinguedini pasticcere” tipiche nel “naso” di una Hefe); e più affilata alla bevuta, con un bel combinato di tagliente acidulità e vivace bollicina. Queste, quantomeno, le caratteristiche che presenta l’interpretazione dello stile firmata, in Germania, dalla Staatsbrauerei Weihenstephan, a Freising in Baviera; ed etichettata didascalicamente come “Weihenstephaner Kristallweissbier”: una bevuta scorrevole, paglierina nel colore e moderata nei suoi 5.4 gradi alcolici.
CON LA WITBIER
Secondo giro di giostra: in pista una Blanche essa stessa non esattamente canonica; quella prodotta, a Seriate (Bergamo), dal marchio “Otus”, utilizzando una speziatura a più voci (con bergamotto e limone, accanto al binomio ortodosso di coriandolo e arancia amara), nel contesto di una ricetta imperniata attorno a una base di malto Pils, grano tenero e avena. Il nome è “Side B”; il colore è paglierino, la schiuma discretamente ampia e anche durevole; la piattaforma aromatica riprende, anzi accentua, le ventilazioni citriche e balsamiche già apprezzate nella Kristallweizen: e nel contempo tempera, ingentilisce diciamo, le correnti fruttate e speziate da lievito, rendendole meno discrepanti rispetto alle odorosità della renaiola. Quanto al palato, di nuovo abbiamo una setosa acidulità e una sostanziale rinuncia all’amaro. In sintesi: una conferma delle annotazioni positive raccolte col primo abbinamento; con, addirittura, alcuni piccoli ma non trascurabili miglioramenti.
CON LA BLONDE ALE
Terza prova: con una birra in stile americano, una Blonde Ale: la “Pamela” targata “Finix” (Falzes, Bozano). Poco esterificata (e quindi esente da frutta matura o fenoli di matrice fermentativa), ma al contrario contrassegnata da un olfatto che si affida a una coppia di luppoli made in Usa (Cascade e Simcoe), la birra fa valere i loro apporti agrumati (pompelmo, arancia) ed esotici di timbro “sauvignoneggiante” (melone bianco, fiori di bosso), al fine di trovare un “feeling” con il naso della renaiola che qui risulta davvero buono. Quanto al resto, per prima cosa va detto che nella sorsata non troviamo le acidulità avvertite nei due test precedenti: quindi i sentori agliacei e ittici della pasta restano non scalfiti (un piccolo problema per chi non li ami); il secondo punto è un minimo di vena amaricante sul finale di bevuta: per certi palati (assai sensibili) forse la fonte di una qualche frizione con il piccante e il sapido del piatto. Insomma, un altro valzer con alcune asimmetrie: nell’insieme, però, un trittico di abbinamenti divertente e formativo.
BAYERISCHE STAATSBRAUEREI WEIHENSTEPHAN
Alte Akademie, 2 – Freising (Baviera, Germania)
T. 0049 (0)8161 5360
info@weihenstephaner.de
www.weihenstephaner.de
BIRRIFICIO OTUS
Via Rumi, 7 – Seriate (Bergamo)
T. 035 296473
info@birrificiootus.com
www.birrificiootus.com
BIRRIFICIO FINIX
Zona industriale Bachla, 6 – Falzes (Bolzano)
T. 346 6503994
info@finixbrewing.com
www.finixbrewing.com