L’INTERVENTO
Il commento dopo il Forum organizzato da Cronache di Gusto. Invece di dare sussidi si dovrebbe iniziare una campagna di pubblicità e di marketing
Si rilanci il marchio Sicilia
Riceviamo e pubblichiamo
di Giovanni Paternò *
Per il secondo anno Cronachedigusto.it ha organizzato il forum per discutere dello stato dell’arte, specialmente economico, del mondo del vino nel sud italiano, con logica maggior attenzione ai problemi isolani.
Si è dibattuto a lungo e con efficacia per capire se in questo grave periodo di crisi economica mondiale le aziende, gli agenti, i commercianti, gli enotecari, i consumatori finali lamentassero ripercussioni nelle loro attività e difficoltà negli acquisti. Si sono anche proposti alcuni suggerimenti da mettere in atto per accelerare con più efficacia la possibile ripresa del settore.
Sulla qualificata partecipazione e sul resoconto del forum si è già parlato in altra parte del giornale e ad essa si rimanda. Qui si vuole riprendere, dal punto di vista dell’appassionato e del consumatore finale evoluto, alcune delle considerazioni espresse, meritevoli di maggiore attenzione.
Andiamo indietro nel tempo, quando il vino siciliano si vendeva sfuso a navi intere per tagliare e fortificare vinelli del continente non solo nazionale.
L’enogastronomo e il consumatore dell’epoca, pur non apprezzando il vino siciliano in quanto tale, hanno cominciato ad identificarlo come prodotto che proveniva da una terra fortunata, che col suo clima, con la sua pedologia così diversificata, col rude lavoro dei contadini dalla pelle scura ed arsa, poteva fornire un prodotto che comunque aveva delle sue qualità.
Dagli anni ’80, con l’avvento di una attenta enologia e di una efficace agronomia, anche nell’Isola si è cominciato a produrre vini di qualità, vini che dessero grande piacevolezza, dai profumi spiccati e dall’armonioso equilibrio.
Gli esperti e i consumatori cominciavano a scoprire i vini siciliani. Si apprezzava un marchio: la Sicilia, identificata come terra dai superbi prodotti agricoli e si lodavano i suoi vini, sempre più stimati e consumati. Il vino siciliano aveva successo perchè poteva esprimere la sua maturità e completezza nel breve tempo, senza dover aspettare tanti anni come per le più blasonate etichette, così raggiungendo alti rapporti piacevolezza/prezzo.
Il porta bandiera di questo successo è stato il Nero d’Avola che, per le sue caratteristiche e per il fatto che sia stato identificato come il vino siciliano per antonomasia, ha varcato le porte della notorietà mondiale. E’ servito da traino per tutta l’enologia sicula e sulla sua scia hanno avuto successo e notorietà anche le altre varietà autoctone, nonché addirittura i vitigni internazionali perchè si è potuto constatare che in Sicilia potevano trovare l’optimum per il loro habitat e potevano sviluppare al meglio le loro peculiarità.
Tutto questo fino a qualche anno fa, finchè il mercato tirava e sempre più si poteva investire, con profitto, nel settore vinicolo.
Ora con l’arrivo della crisi economica le cose si sono fatte difficili. Non basta più produrre dei buoni vini, bisogna saperli vendere sgomitando e lottando con una concorrenza internazionale sempre più agguerrita. Bisogna saper difendere il nome e la qualità dei vini siciliani, intraprendere tutte le iniziative di leggi e di tutela per far sì che il consumatore non si disorienti e disaffezioni trovando in commercio vini scadenti, dal prezzo risibile, con denominazioni che dovrebbero avere ben diversa collocazione nel mercato. Un’inzolia a 50 cent. allo scaffale fa troppo male al settore; sarebbe auspicabile che le istituzioni si adoperassero ad effettuare le dovute indagini ed analisi per verificare che non ci fossero frodi, o come estremo rimedio addirittura che lo acquistassero per toglierlo dal mercato.
Si deve rilanciare il marchio Sicilia. Invece di dare sussidi, più o meno a pioggia, si dovrebbe iniziare una campagna massiccia di pubblicità e di marketing, che faccia identificare nel consumatore, nell’enogastronomo, nel giornalista, l’associazione Sicilia con i suoi vitigni autoctoni: perricone, nerello, frappato, inzolia, zibibbo, catarratto, grillo, ecc. Addirittura si potrebbe promozionare anche il vitigno internazionale; per dire una baggianata con un’espressione del tipo” Prova il cabernet di Sicilia, e vedi cosa bevi” chiaramente in chiave e veste più efficace.
Oltre i vitigni, anche le Doc, in attesa di un loro auspicabile riordino, dovrebbero ripetutamente essere associate a Sicilia. Chi, se non il raro appassionato colto, conosce la “Contea di Sclafani” o la “Salaparuta”. Ma se a questa si associa indelebilmente la Sicilia, anche per le denominazioni meno note ci potrebbe essere un rilancio, magari favorito dalla curiosità di scoprire vini nuovi, o meglio, vini legati a particolari territori.
Se la pubblicità, in ogni sua forma, è l’anima del commercio, questa deve essere ripensata, sviluppata e fortemente incrementata.
Infine un sentito ringraziamento è dovuto all’Istituto Regionale Vite e Vino, i cui vertici sono stati attivamente presenti per tutta la durata del forum: il presidente Leonardo Agueci, il direttore generale Dario Cartabellotta, a cui si è aggiunto nel pomeriggio il vice presidente Giancarlo Conte.
Di contro è stata notata la assoluta assenza dei rappresentanti dei Consorzi di Tutela e la quasi totale di quelli delle Strade del Vino. A quanto pare, ai loro responsabili non interessa conoscere e dibattere i problemi del mondo di cui dovrebbero interessarsi e che dovrebbero promuovere e sviluppare. Hanno altro e di meglio da fare; si sentono troppo bravi e, sfortunatamente per noi, i risultati si notano.
* assaggiatore ONAV e ANAG