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Scenari

Archeologia e viticoltura, la scoperta: in Basilicata le origini

20 Giugno 2023
Anfiteatro di grumentum con panoramica della Alta Val d'Agri Anfiteatro di grumentum con panoramica della Alta Val d'Agri

Una importante novità sulle origini della viticoltura è stata tracciata dal lavoro del team coordinato dall’archeologo e ricercatore Cnr Ispc Stefano Del Lungo, che insieme ad Angelo Raffaele Caputo, agronomo e ricercatore Crea Ve, e con la partecipazione concreta di un gruppo numeroso di studiosi e ricercatori esperti, ha messo su carta il lungo lavoro di ricerca iniziato nel 2006.
L’Alta Val d’Agri è stata infatti individuata come epicentro del terzo centro di domesticazione della vite e di accumulo delle varietà, fin dal secondo millennio a.C., con la tradizione della coltivazione incentrata sull’oynotron, il palo di sostegno della vite, fu subito individuato dai greci come la terra dei “pali di vite”, ovvero Enotria. Con questi dati alla mano si smentiscono i tentativi di raccontare che la vite da Oriente sarebbe giunta nella penisola dalle Alpi.
Un lavoro lungo e complesso che si è concretizzato nella pubblicazione del libro, edito dall’Istituto Geografico Militare: “Fra le montagne di Enotria” Forma antica del territorio e paesaggio viticolo in Alta Val d’Agri”, nell’ambito della più ampia ricerca su “l’Enotria, Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri”. Un testo che è stato presentato lo scorso 10 giugno a Viggiano – Città dell’arpa e della musica – legata al culto mariano che venera la Madonna Nera, proclamata Protettrice della Lucania da Giovanni Paolo Il nel 1991.
Un lavoro che ha dato modo di conoscere non solo una piccola parte delle tante peculiarità di quest’area, ma anche approfondire e scoprire – attraverso le pagine del volume – come quest’area interna della Basilicata, da sempre considerata marginale, abbia avuto un valore socio-economico ed antropologico insospettato.
Come sottolineato nella prefazione del testo dal comandante dell’Istituto geografico militare, Gen. D. Pietro Tornabene:” La biodiversità vinicola, la cultura agronomica che la tramanda e la civiltà del vino correlata, sono il filo conduttore dell’esplorazione geografica e della penetrazione greca in un entroterra ignoto popolato dagli enotri, cultori della vite agli occhi dei coloni insediatisi sulle coste del Mar Ionio. Vitigni, oggetti, grotte, infrastrutture produttive, mappe storiche, illustrate nei diversi capitoli di questo volume, aiutano a seguire vicende e trasformazioni di questa civiltà nei secoli. Le interrelazioni tra le ricerche degli ambiti agronomico, archeologico e antropologico riassumono quell’idea di geografia storica nella quale si studia la configurazione dello spazio nel tempo ad opera dell’uomo in relazione alla presenza vegetale, all’uso agricolo e alla sua utilizzazione da parte delle comunità Insediate”.
Tra le tante informazioni contenute nel volume, quello che colpisce è come il legame tra viticoltura e territorio sia, in questo caso specifico, davvero solida e concreta; un percorso che al contrario di come viene solitamente raccontato, ha un cambio di direzione, non ci sono più i Greci che introducono la viticoltura in Italia ma si scopre un’Italia meridionale popolata nell’entroterra da chi sulla viticoltura ha fondato una civiltà.
In sintesi, i sette contributi della pubblicazione seguono il filo conduttore della storia, a partire dall’Età del Ferro, per avviare il lettore su un cammino geografico e culturale di conoscenza sulla Val d’Agri approfondita, ricucendo una plurimillenaria tradizione vitivinicola. Dai contatti con i Micenei avuti dal XIV secolo a.C. in avanti, gli abitanti distribuiti lungo la catena appenninica centro-meridionale si sono evoluti e i loro discendenti sono risultati esperti viticoltori agli occhi dei coloni greci sbarcati sulle coste ioniche nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.
Un lavoro che il Consorzio di Tutela della Doc ha promosso nel 2008 e sostenuto con pubblicazioni ad approfondimento monografico, tali da essere di base per le aziende e le comunità della Doc nel percorso di riappropriazione, uso sostenibile e valorizzazione di un terroir vitivinicolo.
L’obiettivo comune è quello di rendere consapevole non solo un più vasto pubblico sul patrimonio di biodiversità viticola, di diversità paesaggistica e culturale e di potenzialità produttiva di questo territorio, ma soprattutto portare il piccolo nucleo di produttori legati a questa denominazione (riconosciuta nel 2003), alla valorizzazione dell’omonima Doc e a una definizione varietale dei vitigni riscoperti (quali Giosana, Iusana o Zimellone bianco, Malvasia ad acino piccolo, Santa Sofia, Aglianico bianco o Ghiandara e altri ancora) e il loro rientro in produzione.
La ripresa di questi vitigni, lungamente ambientati nel territorio, significa quindi riconoscere la grande identità del passato viticolo dell’Enotria, rivalorizzandola con una concreta comunicazione della profonda identità viticola della Val d’Agri.
La Basilicata è del resto, come gran parte dell’Italia, una terra che riporta nel suo paesaggio l’impronta della sua storia e della sua cultura passata e di quella in divenire. Nella zona sud-occidentale di questa regione – di cui si parla ancora troppo poco – si colloca la Val D’Agri, attraversata dal fiume Agri, che ricade interamente nella provincia di Potenza, e che dal 2007 rientra nel perimetro del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano – Val d’Agri – Lagonegrese.
Quella dell’Alta Val d’Agri è un’area che rivela al suo interno una variegata e complessa ricchezza da tanti punti di vista, a partire dalla biodiversità, ai tanti aspetti storico-culturali che la caratterizzano. Un’area tutta da scoprire e vivere, che avendo poche vie di comunicazione è rimasta intatta nel tempo e conserva molto del paesaggio originale.
La Val d’Agri è a tutti gli effetti nota anche come la “Terra dell’Energia” per la presenza del più grande giacimento petrolifero europeo su terraferma, ma pochi sono a conoscenza del fatto che a Tramutola, negli anni ‘30 e nuovamente negli anni ’50 del 1900, prima l’Agip mineraria e poi l’Eni perforarono 48 pozzi, estraendo e utilizzando gas metano e petrolio. In un meraviglioso contesto naturalistico, è possibile assistere a un insolito e sorprendente fenomeno naturale: affioramenti di acqua mista a petrolio che sgorgano in maniera incessante (le prime attestazioni risalgono all’Ottocento).
L’importanza di avere un’idea complessiva sulla distribuzione e il movimento delle varietà di vite in Basilicata, traccia le linee generali del contesto di biodiversità nel quale si colloca l’intera Val d’Agri e introduce l’indagine di Stefano Del Lungo, volta a stabilire le modalità culturali e materiali con le quali la civiltà greca prima e quella dei romani poi, abbiano raggiunto l’alta valle già ricordata, “terra di mezzo”, confrontandosi con gli Enotri e i Lucani, sino al disegno di un nuovo paesaggio agrario incentrato su Grumentum. Nel corso del lavoro si è recuperata l’identità e la natura del maggior numero di tracce lasciate sul campo da secoli di sfruttamento agricolo e viticolo. Il Parco Archeologico di Grumentum, da molti considerata come la piccola Pompei lucana in virtù dei ricchissimi reperti rinvenuti, racchiude i resti dell’antica città romana che, fondata nella prima metà del III sec. a.C., divenne uno dei centri più importanti della Lucania antica fino al trasferimento dei suoi abitanti – deciso dai Normanni alla fine dell’XI secolo – nella nuova fondazione di Grumento Nova, da lì poco distante.
La città antica e le vicende successive del sito documentano e rendono appassionante seguire un inedito percorso di visita a ritroso, basato sulla storia e la tradizione vitivinicola di questo territorio, come viene testimoniato dai palmenti settecenteschi, impostati direttamente sulle rovine romane.