IL PERSONAGGIO
Antoine Gaita, vigneron di Villa Diamante in Campania, ha lasciato il suo incarico da ingegnere presso una multinazionale per dedicarsi al suo Fiano. La sua filosofia? Lasciare fare al tempo e puntare sulla qualità a costo di sacrificare il numero delle bottiglie
L’uomo che dà tempo al vino
L’anno prossimo conta di laurearsi in enologia perché il vigneron di Villa Diamante, Antoine Gaita, nel suo vino mette veramente tutto se stesso, non solo la faccia. Il produttore belga di nascita ma campano di sangue aggiunge così una terza laurea a quelle di chimica e di ingegneria chimica.
Un uomo di scienza sui generis che nel suo laboratorio, tre ettari nel territorio di Montefredane a 440 metri d’altezza e quasi tutti coltivati a Fiano, bandisce la chimica per coltivare in biologico. Anche se solo da due anni vignaiolo a tempo pieno, da quando ha lasciato il suo incarico da ingegnere presso una multinazionale, le sue vigne le gestisce personalmente dal 1984. Anno in cui decide di abbandonare il paese natale per trasferirsi in Campania riprendendo la strada tracciata dal nonno nei primi del 900. “Avevo trovato in Irpinia un territorio da grandi vini, così all’inizio pensai di impiantare Pinot, l’intenzione era quella di fare grandi rossi, ma per un esordiente è cosa dura e difficilissima. Nel tempo poi convertii tutto a Fiano”.
Decisione che oggi gli vale il Fiano d’Avellino pluripremiato con etichetta Vigna della Congregazione. L’idea di questo ritorno alle origini la matura durante le degustazioni che, come racconta, si concedeva con un suo collega ai tempi dell’università. “Il mensile che serviva per sostentarci lo spendevano in grandi vini. Preferivamo degustare grandi etichette, avevamo trovato un’enoteca fornita, per il resto delle settimane tiravamo avanti con i panini”. Passione che portava dentro di sé la tempra del vigneron. E da perfetto interprete di questo mestiere dalla vigna all’imbottigliamento, pensa a tutto lui. “Il vignaiolo produce la bottiglia di vino partendo dalla terra, e nella bottiglia di vino ha l’interesse di mettere la cosa migliore”, così sintetizza la sua filosofia. Gaita è convinto assertore della concentrazione del vigneto, di bassa resa, infatti ne produce solo 10.000 bottiglie, tanto che una delle provocazioni che ama lanciare gioca proprio sul rapporto sacrifico bottiglie/qualità. “Datemi qualunque vigneto che ve ne farò un grande vino, sappiate che concentrerò il prodotto, si può fare vino di qualità con qualsiasi varietale ma sacrificando il numero delle bottiglie e lasciando fare al tempo, non si dà mai al vitigno e anche al vino il tempo di esprimersi”.
I suoi vini si evolvono infatti su tempi dilatati, in cantina dove li lascia riposare 15 mesi sulle feccie, come il Fiano 2009 che presenterà al Vinitaly. “Lo stiamo assaggiando proprio adesso, è quasi pronto, non lo sviniamo, così come è mia prassi, gli farò fare solo una blanda chiarifica”. Nei suoi filari il fattore concentrazione, sinomimo per lui di espressione di terroir, si basa sul sistema radicale. “Tutti sanno che si fanno grandi vini con impianti datati, perché la vite ha avuto tutto il tempo di occupare il suolo. Ma per i più giovani bisogna che si tratti la vigna come un’interfaccia tra suolo e grappolo. Per far ciò bisogna diminuire la quantità di uva e darle la possibilità alla pianta di occupare al meglio il suolo, mettendola in condizioni di tirare tutto dal terreno”. Una concezione di viticoltura di stampo francese che gli consente di ottenere vini mai uguali a se stessi e sempre in evoluzione, quasi stagionali che cambiano performance a secondo del periodo in cui li si degusta. Vini d’annata. “Il mio vino è variegato, dipende dall’annata, è espressione di questa e della sperimentazione che io faccio, non è mai fatto allo stesso modo – e da futuro enologo precisa sull’enologia -. Non compenso le variazioni in funzione dell’annata per ottenere un certo standard, questo è l’enologia. Invece ho un’idea di vino diversa. Un vino sempre interessante, non migliore, ma che una volta assaggiato si fa bere di nuovo”. Da un personaggio del genere non può che derivarne un vino schietto, come egli stesso lo definisce, con le sue spigolosità. A detta del produttore quasi una sintesi di tutti varietali a bacca bianca.”Il Fiano è uno dei più grandi vitigni del mondo. Si può trovare lo Chardonnay, il Sauvignon. Il Fiano è qualunque altro vitigno e da questo nasce la difficoltà di tirare fuori un Fiano tipico. Col Fiano si può fare tutto perché si ha tutto”.
Manuela Laiacona