LA PROVOCAZIONE
Palermo assediata da avvisi per happy hour e menu a basso costo. Segno dei tempi che privilegiano la quantità e basta. Ma per comunicare un ristorante o una trattoria di qualità serve ben altro
La pubblicità degli straccioni
di Gianfranco Marrone
Il grado di civiltà di un paese o di un popolo si misura anche nella pubblicità che produce: basta guardarsi intorno fra i cartelloni delle strade cittadine, sfogliare una rivista pubblicata in loco,
guardare un po’ di tv regionali, ed ecco emergere uno spaccato di quel che la gente del luogo pensa e desidera, dei beni che considera importanti ma soprattutto dei valori che vi attribuisce. La pubblicità dà motivi per gli acquisti, quelli che la gente considera degni d’attenzione. Osservandola, si capisce perché e per chi le persone organizzano la propria esistenza.
Girando in questi anni per Palermo, ci si accorge immediatamente che gli annunci e le affissioni parlano solo di convenienze economiche e low cost, ribassi e affaroni a prezzi imbattibili (e non solo nei periodi dei saldi). Nulla si dice della qualità dei prodotti e dei servizi, mai si parla di oggetti status symbol o di divertimento puro: tutto è incentrato sul risparmio. E così capiamo (se ce ne fosse bisogno) il grado di povertà diffusa, la disperazione di chi deve arrivare a fine mese, ma anche l’industriosità per tenersi su e poter competere con gli altri.
Fra queste pubblicità che, in tutti i sensi, chiameremo ‘critiche’, spiccano da un po’ tempo in qua quelle di ristoranti e trattorie d’ogni sorta, pizzerie e pub notturni, bar più o meno ‘lounge’ o ‘american’ (essendo sostanzialmente uguali, ci dev’essere un grafico che le fa per tutti a basso costo). Lo avrete notato: menu più o meno standard a quattro soldi, bevande comprese, con la promessa di una cena romantica o di una notte brava. Avranno cominciato le formule all inclusive dei viaggi organizzati e dei villaggi turistici. E l’usanza dell’happy hour, che di felice ha solo il nome, avrà contribuito non poco per corroborare quest’andazzo. (Per contrasto, il fatto che per mangiare e bere bene, a Palermo, occorra svenarsi è il segnale rovesciato della medesima situazione).
La prima osservazione da fare è che sono cambiati i costumi, il modo di vivere e di pensare il ristorante. I miei nonni, ma anche i miei genitori e persino la mia generazione sino a pochissimo tempo fa, mai ci saremmo sognati di andare a cena in un posto che si fa pubblicità. A parte il Gault-Millau di turno, la rilevanza di un ristoratore si costituisce per chiara fama, o se si vuole per passaparola: parlar dei propri menu e magnificarli in pubblica piazza non sta bene. Altri tempi, me ne rendo conto. Oggi si sbafa a quattro soldi, e occorre comunicarlo: punto e basta.
La seconda è che, se promozione dei ristoranti bisogna proprio fare, almeno si coltivi il buon gusto, si stimoli la capacità di apprezzare cibi e vini, di valorizzare le materie prime e la sapienza dello chef nel cucinarle, i prodotti del terroir mescolati con quelli che provengono da terre lontane, oppure riproposti in veste nuova. E così via. Ma questo contrasterebbe col triste andazzo economico di cui sopra, per cui – è il caso di dirlo – occorre ingoiare il boccone amaro.
Quel che proprio non possiamo accettare è l’estremizzazione di tutto ciò, l’ironia a ogni costo, l’attrazione esagerata e fine a se stessa. Abbiamo visto pizze a forma di lunghe cosce femminili, bistecche col perizoma, mozzarelle polpose al posto di seni mal ricoperti: e tutta una lunga serie di piacevolezze da stadio che bassamente associano concupiscenza brancatiana e cibo basic. E non abbiamo detto nulla per non farci prendere per parrucconi.
Credo invece che occorra reagire con forza quando il cattivo gusto arriva a toccare il senso – universale e necessario – della morte. Un ristorante del centro città, peraltro abbastanza noto e apprezzato, da alcuni giorni si fa pubblicità mostrando la fotografia di un camposanto con tante croci bianche su un tappeto erboso, e lo slogan che recita: “Loro non hanno mai mangiato da noi… X (= nome del posto) ti allunga la vita!”. Qui di divertente non c’è assolutamente nulla. C’è solo la grossolana voglia di stupire andando a toccare i sentimenti più profondi delle persone. Le quali, se invece riescono a scherzare con i propri defunti, è perché hanno perduto l’anima. E non meritano prelibatezze o manicaretti. No, per cortesia, qualcuno lo vieti.