Più che una funivia, è una navicella spaziale Skyway, che da Courmayeur village, quota 1.300 metri sul livello del mare, sale su su fino a 2.173 metri, in una stazione avveniristica che comprende cinema alpino, giardino botanico e Cave Mont Blanc per la spumantizzazione in alta quota, dove i lieviti al ralenti regalano una bollicina più fine e la sboccatura si fa immergendo i colli nella neve. Poi prosegue addirittura fino a 3.466 metri, fermata Punta Helbronner, dove si aprono terrazze panoramiche che segnano un record in Europa. La neve da tempo si è accomiatata da via Roma, ma man mano che la navicella si avvita verso l’alto, in un luna park che regala a ciascuno 360 gradi di panorama, la bufera di neve si infittisce e la temperatura collassa nel silenzio. Segnando l’ingresso in un’altra dimensione. È difficile non lasciarsi trasportare dall’emozione dei luoghi, eppure c’è tanto altro da fare. C’è la cena di Peak of Taste, rassegna enogastronomica di Courmayeur, che ogni anno a inizio primavera porta i grandi cuochi a un passo dal cielo, contribuendo a nobili cause come la pratica sportiva dei disabili. Questa volta tocca a Davide Scabin, oggi al Carignano di Torino, e Ana Ros, bistellata da Hisa Franko, portare uno sguardo straniero sulla valle. Lui leone capobranco quando l’avanguardia ruggiva, avvezzo a stupire, scandalizzare, prendere in contropiede le aspettative persino quando sposa il classicismo italiano, dopo avere guerrigliato attraverso concetti dirompenti. Il creativo per antonomasia della cucina italiana. Lei interprete originale del naturalismo oggi in voga, forse la più grande donna vivente ai fornelli. Un clamoroso talento naturale che dalla natura attinge, costruendo un mondo di sapori tutti suoi. Eppure qualcosa li unisce: la personalità di chi non ha maestri, innanzitutto, ma apre strade laddove ogni traccia sembrerebbe già battuta. Il temperamento indipendente, che ha qualcosa dell’alpinismo nelle sfide e negli azzardi dello stile.
Autore dell’aperitivo, Davide Scabin ha servito presso il bistrot Kartell di Punta Helbronner una carrellata di classici italiani in versione mignon, dalle seppie con i piselli al vitel tonné, dagli agnolotti al risotto giallo. Per apertura, in ossequio al rito classico della liquidità calda, un brodo sensazionale dalla cottura extra long. Chi non lo conosce, pensa siano gli ultimi fuochi del pompiere, che un tempo era incendiario. Invece lui l’ha sempre detto, che nonostante il cyber eggs e l’ostrica virtuale, la nostra tradizione doveva essere preservata da velleitarie rivisitazioni, secondo un concetto di classicismo italiano. “Bellezza à la Baudelaire”. Certo la materia prima in alta quota si comporta diversamente e a lui, che sulla percezione del gusto ha lungamente indagato, non può sfuggire: c’è innanzitutto un problema di minore sapidità, che obbliga a calcare la mano. E poi le cotture che sballano, soprattutto per gli amidi.
Ana Ros, dal canto suo, ha cucinato alla fermata inferiore, negli spazi panoramici di quello che normalmente è un ristorante a buffet. Ex sciatrice, animale di montagna, è entrata subito in sintonia con i luoghi, da cui ha mutuato diversi ingredienti, come patate e Fontina. Del resto, ha introdotto, quella slovena è una cucina di confine, sottoposta alle influenze italiane, ma anche a quelle balcaniche e mitteleuropee. Le montagne però non sono tutte uguali e in bocca si sente, come pure ai fornelli. “La mia è una cucina dai gusti diretti, gli inglesi direbbero straightforward, basata su ingredienti intensi”. Sembrano parlare da soli, con un realismo impattante: poesia oltre la tecnica. È risuonata subito alta e forte la deliziosa patata cotta in crosta di sale al fieno di agosto con burro acido al levistico e rafano, sorta di uovo vegetale nel suo nido stopposo, che in bocca spargeva la potenza dell’incenso per una liturgia della natura. E che il vegetale ispiri alla cuoca tutto un nuovo universo sensoriale, è stato confermato dalle carote colorate caramellate con delicato dip di ricotta fermentata alle erbe e agrumi, bilanciato nei suoi tratti un po’ bruti e nelle consistenze quasi da pasticceria. Il picco della morbidezza, tuttavia, è stato toccato con l’orzo servito con albicocca secca, Fontina e petali di rosa, un piatto dalle dolcezze elusive, fra il Medio Oriente e la Mitteleuropa. Forse meno teso il capriolo con olandese al burro nocciola, radici di alta quota, alici e rafano fresco, dove la proteina ingabbiava un po’ la creatività. Quasi rustico nella sua deliziosa domesticità a grana grossa il dessert di gelato di cachi, zabaione, mele e noci caramellate, rappresentazione realistica di un dolce di campagna. In abbinamento Nus Malvoisie La Griffe des Lions, Chambave Muscat Attente e Prieuré, che insieme ad altri vini valdostani hanno accompagnato con freschezza e aromaticità sensazioni altrettanto lunghe e piene.
Giù in paese da anni si deposita la valanga del food. Partito Paolo Griffa dal Petit Royal, subito dopo avere incassato la stella, in direzione Aosta per un posto più suo, punta in alto presso LM38 dell’hotel Le Massif lo chef napoletano Francesco Colantonio, lungamente al fianco di Jean-Christophe Ansanay-Alex presso il bistellato (oggi chiuso) Auberge de l’Ile Barbe. Ma anche le produzioni crescono: vedi i caprini dell’Azienda Agricola Mont Blanc, che fornisce anche carni di capretto di Courmayer, allevato con fieno proprio e tanta coscienza.