Non siamo soliti correre a provare i ristoranti che hanno appena aperto, a meno che non si tratti di nuove aperture di chef noti, solitamente preferiamo che passi qualche mese per renderci conto se si tratti di un fuoco di paglia o meno. In più, abbiamo avuto parecchie esperienze decisamente poco convincenti presso locali siciliani che hanno in menu il pesce frollato, tecnica portata avanti da pochissimi (grandi) chef negli anni passati, ma di gran moda attualmente. La domanda che spesso ci viene posta, in quanto esperti del settore, è: perché mai in Sicilia, dove in tutte le tavole arriva quotidianamente pesce freschissimo, dovremmo voler frollarlo al pari della carne? Perché questa fissazione di prendere spunto dalle cucine nordiche che, per difficoltà di reperimento ed esigenza di conservazione, devono ricorrere a questi stratagemmi, se il siciliano in ogni stagione trova pesce appena pescato al mercato? La risposta a tutti questi interrogativi si trova a Catania e si chiama Angiò, dal nome dello chef patron Alberto Angiolucci, il cui curioso payoff è “Macelleria di mare”.
Angiolucci, che ha appena 25 anni, ha alternato sin da giovanissimo esperienze in cucina sia in Sicilia che fuori: dallo Shalai, una stella Michelin a Linguaglossa (Ct), al The Gun di Londra; da Qqucina Qui, il format che la chef Bianca Celano aveva aperto a Catania qualche anno fa, a Milano che lo ha visto chef al Mariencò della chef Marinella Rossi, al Mudec con Enrico Bartolini e al Motelombroso, prima di rientrare, durante il primo lockdown, nella sua Catania. Ed è qui che apre il suo locale, nato in tempo di pandemia proprio per ovviare alla richiesta di prodotti ittici da asporto. Oggi, oltre a continuare a svolgere la sua originaria attività, Angiò è un piccolo ristorante dalla proposta originale. Sala mininal, un unico spazio ampio con le pareti ricoperte di piastrelle chiare, banco in marmo e vetro, cella di maturazione e cucina a vista, una bella Berkel rossa e pareti dalle scaffalature in acciaio con prodotti siciliani enogastronomici di varie aziende, con un piano riservato a bocce e vasi in vetro contenenti aceti, garum, colature e fermentazioni che arrivano direttamente dalla cucina. La sensazione suscitata da tanta essenzialità è davvero quella di essere all’interno di una pescheria con laboratorio o di una macelleria, ma avvicinandosi al bancone dove ci sono preparati e pesci in esposizione, si comprende che ci si trova in un posto unico, almeno in Sicilia.