Una cultura calpestata
di Guido Fiorito
Quando sfoglio il menù al tavolo di un ristorante o di una pizzeria di Palermo (ma il discorso vale per tante altre città) mi capita quasi sempre di osservare sconsolato una lista composta da quattro-cinque birre, più o meno delle stesse e solite marche, senza alcuna attenzione alla produzione di qualità: almeno quella italiana sarebbe giusto sostenerla.
La birra non è solo una bevanda: è un mondo, è cultura. Una lunga storia che inizia 3.800 anni fa con i Sumeri e rilanciata dai tedeschi nel Medioevo. Esistono oggi più di sessanta stili principali di fare una birra, che danno luogo a prodotti diversissimi, nel sapore innanzitutto se non volete guardare a fattori obiettivi come la gradazione alcolica o la quantità di schiuma, dalla birra blanche a base di frumento alle trappiste belghe, dalle pils alle ale inglesi. Ciascun tipo di birra chiede una determinata forma di boccale; la deliziosa weisse, per esempio, va versata lentamente in un bicchiere di vetro trasparente stretto e lungo. Un luogo comune è che la birra sia da servire sempre fredda: bene per una lager ma la birra d’abbazia va assaporata quasi a temperatura ambiente (12 -18 gradi) per esaltare sapori e aromi.
Nonostante queste difficoltà, sono riuscito ad assaporare circa 400 marche diverse di birra negli ultimi dieci anni, certo anche con l’aiuto dei viaggi e di qualche generoso amico. Per tutto ciò sia lode a quei illuminati che diffondono la cultura della birra in Sicilia, a chi la produce tra mille difficoltà e a quei venditori che riempiono i loro scaffali di birre di tutto il mondo. Amici appassionati di birra, unitevi: protestate, con modi gentili, quando la birra nei menù scarseggia. Ricordate il motto “la vita è troppe breve per bere birra scadente”. E poi la birra è uno dei piaceri della vita e come tutti i piaceri si nutre non solo di qualità ma anche della varietà. Per la barba di Gambrinus!
Numero 27 del 20/09/2007