di Titti Casiello
Nei tempi che corrono, dove piccolo è meglio, e poco è necessariamente migliore di tanto, non è cosa facile per una cooperativa sociale di vino barcamenarsi tra le tendenze attuali del mercato e gli obbiettivi da raggiungere per i propri soci.
“Less is more” è il must have di molte cantine, dove in una rincorsa a produrre sempre di meno, l’obiettivo è dimostrare, a fronte di una produzione limitata, il contraltare della qualità.
E in questo imbuto, sta poi, invece, la catena del vino, quella che, invece, i numeri li fa. Quella delle cooperative, che aldilà delle mode di mercato, tiene comunque banco sull’asticella del Pil nazionale. Come La Guardiense, società cooperativa agricola fondata nel Sannio nel 1960 e che oggi conta oltre mille soci conferitori nell’areale del vino beneventano. Guidata, dal 1997, dal presidente Domizio Pigna. Un imbuto, questo, dove bisogna premurarsi, non solo delle nuove influenze del consumatore, ma anzi, e soprattutto, dei timori di una recessione che pare già preannunciata e che va a braccetto con il rialzo dei tassi per combattere l’inflazione.
Presidente questo 2023, non pare, infatti, partire col piede giusto. A tutto ciò, poi, si aggiungono anche le giacenze del vino rimaste invendute nell’anno 2022 e la corsa ai rincari delle materie prime che pare non trovare una battuta di arresto. Davanti a questo mare in tempesta cosa fa una portaerei come la Guardiense?
“Cerchiamo di non perdere quote di mercato. Stiamo puntando molto sui mercati internazionali, per far fronte alle perdite sul nostro territorio. L’anno scorso abbiamo seminato molto puntando sull’export e quest’anno speriamo di raccogliere i frutti, facendoci trovare pronti al cambiamento dei mercati esteri. In questo modo proviamo a tamponare le perdite che stiamo riscontrando nel mercato in Italia. Ma siamo già consapevoli che venderemo di meno anche quest’anno, o almeno fino a quando non caleranno i prezzi delle materie prime, che ci hanno costretto ad aumentare, seppur di poco, il prezzo di vendite delle nostre bottiglie. Bisogna sperare in una discesa dei prezzi per recuperare quote di mercato in Italia”.
Facciamo un piccolo passo indietro. Come avete chiuso il 2022?
“Abbiamo chiuso il bilancio con circa quindici milioni di euro di fatturato, di cui due milioni in export. L’estero viaggia intorno al 20% del fatturato complessivo. Siamo abbastanza soddisfatti, anche per i nostri soci, la cui remunerazione, in media, viaggia intorno ai cinquanta euro per quintale a fronte di una produzione di circa 200.000 quintali. In linea generale, comunque, nel 2022, abbiamo registrato un incremento del 5% in quantità e un 12% in valore. E il valore è aumentato, soprattutto, perché siamo ritornati a vendere nel settore Horeca. Un settore che avevamo perso durante il periodo Covid”.
C’è in giro tanto vino sfuso invenduto, sicuramente più del solito. Soprattutto tanto rosso invenduto. Come mai?
“Anche noi quest’anno abbiamo rilevato una notevole giacenza nella produzione di vino rosso sfuso. Credo che in parte sia stata determinata dalla riduzione dei consumi pro capite. Inoltre l’anno scorso il prezzo dello sfuso era caduto troppo in basso e quest’anno è stato necessario un leggero aumento. Più in generale, comunque, il mercato dei rossi, in questo periodo, è senza dubbio molto più lento rispetto a quello del vino bianco che viene venduto, invece, nonostante l’aumento dei prezzi, con molta più facilità”.
Il mondo della Gdo è in subbuglio per il caro prezzi e propone accordi commerciali particolarmente aggressivi. Una cantina sociale come può mantenere la barra dritta di fronte a queste strategie di acquisto?
“Con l’Horeca abbiamo trovato anzitutto delle intese per degli aumenti graduali. Mentre la strategia per la Gdo è stata quella di offrire dei prodotti qualitativamente alti, visto che il consumatore è sempre più preparato, senza però incidere significativamente sul prezzo di vendita. Abbiamo deciso che gli incrementi dovuti alle materie prime non ricadessero in toto sul cliente finale. Sono costi, che attraverso degli accordi che abbiamo stretto, vengono in parte supportati dalla stessa Gdo e in parte direttamente da noi. Per dare una stima viaggiamo su un aumento dell’8-10% di costi, tra il valore delle materie prime e la logistica da sostenere”.
Nei vostri progetti per il 2023 ci sono nuovi vini o nuove strategie che si possono già annunciare?
“Abbiamo la fortuna di avvalerci della collaborazione di Riccardo Cotarella e di Marco Giulioli. Con loro stiamo lavorando molto sulla sperimentazioni. Il Sannio non ha vulcani, ma presenta suoni lavici retaggio delle esplosioni dei Campi flegrei di oltre trentamila anni fa. E da queste aree, ricche di terreno tufaceo, già nel 2022 abbiamo presentato la linea Lacrima Lavica con una Falanghina sia nella tipologia ferma che spumantizzata. La novità ulteriore, nel 2023, sarà presentare sul mercato un vino da uve Aglianico provenienti da questa zona e che andrà a completare la linea Anima Lavica”.