di Francesca Landolina
Servono senso di responsabilità e tanto coraggio quando ci si approccia ad un vino icona, come il Duca Enrico.
Il Nero d’Avola di Sicilia per eccellenza, il vino che ha determinato la storia enologica siciliana, il primo che ha dato il via alla svolta dell’autoctono a bacca rossa più coltivato nell’isola. Un vino che segna un punto di rottura col passato, nell’ormai lontano 1984 quando, per la prima volta, viene vinificato in purezza dalla Duca di Salaparuta. Oggi giunge alla sua 38esima vendemmia e la sua ultima annata, la 2018, da noi degustata, porta la firma dell’enologa Barbara Tamburini, toscana di origini, che è entrata a far parte della squadra Duca di Salaparuta tre anni fa, affiancando gli enologi interni Francesco Miceli e Salvatore Tomasello. Dopo 34 anni, qual è l’evoluzione del Duca Enrico? Quale il suo futuro? “Identitario e moderno al contempo – afferma l’enologa toscana – Nell’ annata 2018 si evince un cambiamento all’insegna della freschezza e della piacevolezza di beva. Il concetto enologico alla base ci permette di avere un vino da bere anche nell’istante in cui viene immesso nel mercato, se si vuole, pur rimanendo un vino con lungo potenziale d’invecchiamento davanti a sé”.
Per la Tamburini il futuro del vino icona di Sicilia, condiviso con tutto il team aziendale in una visione d’insieme, ha una forte identità siciliana e la stessa matrice vinicola e territoriale di sempre. Nasce dagli studi di zonazione avviati da Duca di Salaparuta nella tenuta di Suor Marchesa a Riesi in provincia di Caltanissetta, su terreni di matrice silicio calcarea e con l’antico sistema di allevamento ad alberello. “Duca Enrico – continua l’enologa – è frutto del rapporto intrinseco tra profonde conoscenze agronomiche, l’esperienza fatta in vigna nelle annate precedenti e le moderne tecnologie che esaltano il territorio e la naturale espressione del vitigno. La 2018 è dunque il risultato di un bel lavoro di squadra in cui è stato strategico individuare il momento giusto per la raccolta, con uno studio ancora più minuzioso e approfondito in termini di scelta delle barrique per raggiungere la più soddisfacente piacevolezza dell’oggi, in attesa della lunga evoluzione del domani”.
Tanta tradizione e tanto rispetto della storia da una parte; grande struttura, identità varietale e “bella bevibilità”, di cui godere senza eccessive attese, dall’altra. L’approccio di rispetto e di valorizzazione delle varietà siciliane rimane integro per tutta la gamma di vini, spiega Barbara Tamburini, che confessa di avere una predilezione per lo Zibibbo. “È il riflesso della Sicilia, della sua luce e dei suoi profumi. Anche se credo molto nelle potenzialità del Grillo”. E poi sui rossi aggiunge: “Il Nero d’Avola è uno dei vitigni italiani più validi in assoluto. E lo dico da toscana. Credo che sia straordinario. Poi mi sto misurando con il Nerello Mascalese sull’Etna che rappresenta per me una bella scoperta. Come azienda puntiamo alla valorizzazione di tutti i vini che sono in gamma. Di sfide se ne sono vinte, ora quella nuova è portare i vini Duca di Salaparuta al successo nel mondo”. Entusiasta del suo percorso con l’azienda siciliana, racconta del suo rapporto d’amore con la Sicilia. “Dopo la Toscana, che è la mia terra, c’è la Sicilia. Qui c’è tutto. Raccogli le uve ad agosto iniziando con lo Chardonnay e termini tre mesi dopo in montagna, a fine ottobre, con il Nerello. Si abbraccia a tutto tondo la viticoltura, dal mare alla montagna e ricevi in dono la complessità. Cosa si può desiderare di più? E poi le persone sono straordinarie. Lavoriamo dalla mattina alla sera qui, ma felici”. Seguirà un articolo sulla degustazione del Duca Enrico con due annate storiche (1985 – 1999) fino all’odierna 2018.