di Titti Casiello
Un abito su misura parte da una modellistica di base, da un cartamodello industriale già esistente che viene scelto dal cliente per essere modificato tenendo conto della propria fisicità.
Un abito sartoriale, invece, profuma della bottega di un artigiano, nulla a che fare con un modello preesistente, e così l’abito prende forma, a mano a mano, in uno scambio vicendevole di parole e immaginazione tra chi lo ordina e chi lo fa. Parte da quest’idea una carta dei vini secondo Alessandro Gonzalez Venegas, miglior Sommelier d’Italia 2023 per il Gambero Rosso: “La mia emotività è la base di partenza, ma il mio compito è rispettare il cliente. Costruisco le mie carte ricercando il connubio perfetto. E poi bisogna fare i conti con il mercato, avere una cantina statica non fa bene né al cliente né al ristorante”. E diceva allora il giusto il caro Lucio Dalla quando in quel lontano 1977 professava che “l’impresa eccezionale è di essere normali”. Abituati come siamo, tra stelle e punteggi stellari, il Gambero stavolta ci ha dato una gran bella stringata. Perché l’impresa eccezionale non è avere a disposizione grossi capitali per grandi cantine, ma è la “capacità di costruire una carta vini per tutti ma arguta e originale [..]. Quello che fa ogni giorno Alessandro Gonzalez Venegas, il Miglior sommelier 2023, della vivace e originale Locanda del Profeta nel cuore di Chiaia, a Napoli”. Con una laurea in Lettere e Filosofie in tasca, Alessandro, classe 1989, napoletano di nascita, ma con sangue cileno nelle vene, ha scritto la sua storia nel vino tra tanto studio e formazione direttamente sulla strada. Tra quelle brasiliane, cilene, e poi londinesi, quando, nel 2014, è arrivata la prima esperienza in sala al ristorante “Da Lorenzo” di Westow Hill – per poi approdare di nuovo ai vicoli napoletani. Ed è datato ottobre 2017 l’incontro fortuito con lo chef Simone Profeta, co-owner della Locanda del Profeta in Vico Satriano a Napoli, che ha segnato – in positivo – la vita enoica di Alessandro.
La locanda del Profeta è un ristorante con più anime: un luogo conviviale per i residenti napoletani, un ristoro per gli amici, un punto fermo per una cucina di qualità per i viandanti. Come è stato inserire il vino nella realtà così variegata del ristorante?
“È stato semplice. Sono partito da me stesso e dalla ecletticità della cucina della Locanda. A fronte di un cibo di qualità ( e non è un caso che anche la Locanda entra quest’anno in guida) perché non fare la stessa cosa con il vino? Ad oggi contiamo 250 etichette con un focus principalmente italiano senza perdere mai di vista la Francia, la Spagna e le piccole realtà territoriali che quotidianamente ricerco. E penso sia stata la scelta giusta, o almeno questo piace ai nostri clienti”.
Quali sono i tre aggettivi per costruire una carta dei vini?
“Eterogeneità: non esiste solo il vino che piace a me, ma quello che può incontrare il gusto di ognuno. Una carta facile, che sia comprensibile, e che possa soddisfare il più possibile le scelte dei clienti della Locanda. Digeribilità: nel prossimo futuro penso che verranno premiati i vini sani. Non solo una lotta al “cerchio alla testa del giorno dopo”, ma anche, anzi soprattutto vini dalla struttura leggera. Sostenibilità: una buona carta dei vini deve fare i conti con gli investimenti della cantina e l’economia del ristorante”.
Eppure pur dovendo fare i conti con la vita reale, la carta dei vini de La Locanda del Profeta pare in ogni caso un “vade retro” alla stereotipia delle solite etichette. I vini naturali rappresentano ancora una tendenza passeggera o sono entrati di diritto nel collettivo culturale dei vini?
“Io non parlo mai di vini naturali. Ma di vini tradizionali. Non è giusto creare questo razzismo enoico. Scelgo vini che sono legati ad una tipologia di vinificazione il più possibile rispettosa della materia prima e poco massiva. A volte poi può capitare che la mia idea combaci con quella dei vini definiti naturali, ma può accadere anche il contrario, con dei produttori dal taglio tipicamente classico”.
Oggi alla Locanda del Profeta il cibo è il protagonista, ma non è l’unico attore. La carta dei vini si adatta e si modella alla cucina dello chef Simone Profeta. Ma come proporla?
“La chiave di tutto è la semplicità. Non mi sento in cattedra. Il cliente deve essere a suo agio. Cerco di coinvolgerlo nelle scelte. Spesso vado al tavolo con tre bottiglie: quella che ha scelto il cliente, quella più idonea secondo gli abbinamenti canonici, e quella emozionale che sento che sia giusta per il cliente. Molto spesso vince l’emozionale”.
Quest’anno il gambero ha premiato anche La locanda del Profeta, inserendo il ristorante in guida. Merito ad uno dei suoi piatti iconici, lo spaghetto allo scarpariello. Con che cosa lo abbiniamo?
“Con una Malvasia di Salina di Nino Caravaglio”.