di Alessia Zuppelli
A Caltagirone, al confine meridionale del territorio etneo, i terreni scuri di matrice lavica lasciano spazio ad argilla e sabbia dove alla grafite e al sottile tannino del Nerello Mascalese si sostituisce la trama egualmente elegante, fresca, e leggermente più fitta del Nero d’Avola.
Un territorio, quello del Calatino, che dista dalla città di Catania esattamente quanto il versante nord del Vulcano, il cui sguardo giunge fin qui seppur con minor risonanza in termini enoici. È in quest’areale che delimita il catanese con l’agro ragusano che vignaioli del passato e del presente si incontrano per dare voce sia al Nero d’Avola in purezza, capace di sfidare le espressioni blasonate delle più rinomate aziende siciliane, che al contributo che quest’uva offre insieme al Frappato per quell’ampia Docg, l’unica, nel panorama siciliano: il Cerasuolo di Vittoria. Diversi i produttori di questo territorio che aiutano a comprendere gli aspetti che contraddistinguono il vitigno siciliano per eccellenza in un mosaico di contrade che riescono a costruire diversi tasselli di una cornice chiara e interessante tanto quanto quella dell’opposto versante di Catania confinante con il messinese. Risultato di una narrazione territoriale pressoché inesistente e incentrata piuttosto in termini regionali su un prodotto troppo spesso tannico e possente, ealla mercé di una vinificazione massiccia e di massa dove non emerge il carattere specifico di ciascuna zona di riferimento.
(Giovanni Sallemi)
Figli di generazioni diverse, aderenti alla Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti, Tenuta Valle delle Ferle e l’Azienda agricola Sallemi, situati il primo in contrada Valle delle Ferle a pochissimi chilometri dal centro di Caltagirone al confine con la formazione geologica dei Monti Iblei, e il secondo a Granieri, poco più a meridione verso Mazzarrone, condividono un clima dove le escursioni termiche giocano un ruolo importante in termini di freschezza e longevità su suoli, tuttavia, diversi. Se in contrada Valle delle Ferle si rileva un suolo sabbioso con presenza di limo e argilla, a Granieri si incontra anche dello scisto rosso che offre più complessità. Vigne, per entrambi, degli anni ’70, offrono un’espressione di Nero d’Avola che si riflette in un colore rubino brillante, spezie e note di macchia mediterranea al naso. Ciascuno dei due, con storie e metodi di vinificazione differenti. A Granieri a coltivare il Nero d’Avola nell’azienda di Giovanni Sallemi iniziarono il nonno e il padre: “Ricordo che mio padre giustamente lo chiamava Calaulisi (poi italianizzato in Calabrese. Termine errato ma che purtroppo si trova ad indicare il Nostro Nero D’Avola nel sito dell’Irvos). Nella vinificazione continuò a seguire la tradizione vittoriese di fare Nero D’Avola, allora seguita da tutti i viticultori dalle nostre contrade. Grazie alla breve macerazione di 36 ore i chicchi rimangono integri. I miei vini hanno poche fecce, che naturalmente dopo decantazione, con i freddi dell’inverno, rimangono limpidi senza necessita di alcuna filtrazione o stabilizzazione. Dopo metto ad affinare il vino limpido grazie ai freddi dell’inverno, in vasche d’acciaio o in botti di rovere esauste da 70 ettolitri per circa 2-3 anni”. Il Terre di Conventazzo 2015 affinato in botti di rovere esauste presenta un colore rubino brillante, ma non impenetrabile, ampio al naso con sentori che spaziano dal balsamico alle spezie passando per una frutta rossa matura ma non stucchevole. Sorso profondo per un tannino per integrato con l’acidità. Un calice, per chi ha pazienza, che offre continui spunti con il passare dei minuti.
(Claudia Sciacca e Andrea Annino)
Dal 2016 Andrea Annino e Claudia Sciacca hanno iniziato il progetto Tenuta Valle delle Ferle perseguendo un’idea di freschezza e territorialità assecondando con l’utilizzo del solo acciaio le peculiarità del vitigno: “La scelta di privilegiare l’affinamento in acciaio deriva dalla nostra scelta di intendere il vino come racconto di un territorio: vogliamo mantenere inalterate le sensazioni che i nostri suoli e le nostre viti hanno da esprimere. Prediligendo un affinamento in acciaio, siamo costretti a tempi di cantina più lenti. Oggi, la nostra annata corrente è la 2017. La presenza dell’argilla per fortuna ci aiuta molto per quel che riguarda la longevità dei nostri vini: il Nero d’avola 2017 si contraddistingue infatti per una spiccata freschezza ed un’importante spalla acida che non ci si aspetterebbe da un 2017. Siamo molto contenti dei risultati fin qui ottenuti, in quanto la territorialità che tanto desideriamo rappresentare emerge in maniera chiara e distinta dal nostro Nero d’Avola, dove note speziate si identificano con la macchia mediterranea, il pepe verde è balsamico e a fare da protagonista è la nota di liquirizia, pianta infestante nei nostri suoli. Una territorialità che è conseguenza dell’ottima caratterizzazione pedoclimatica di Caltagirone, territorio ancora oggi troppo poco noto come ottima zona vitivinicola sia per i risultati sia per la facilità di lavorazione delle viti”.
Nel territorio di Caltagirone impossibile non fare menzione di Tenuta del Nanfro, della quale non si ha più produzione da diversi anni. Fra gli eredi, Silvia Lo Certo racconta come oltre a Inzolia e Frappato, coltivati in regime di agricoltura biologica su un totale 49 ettari di vigneto su terreni arenari e ben ventilati, come proprio il Nero d’Avola “è sempre stata la punta di diamante della nostra produzione. La nostra etichetta “Luoghi d’Incanto” veniva prodotta con una tecnica classica di vinificazione in rosso in vasche d’acciaio ed a temperatura controllata, permanendo poi per 10 mesi in piccole botti di legno di secondo passaggio, per altri 10 mesi in cemento, ed infine per altri 4 mesi in bottiglia. Le vasche in cemento utilizzate erano quelle della vecchia cantina acquistata dalla famiglia Lo Certo negli anni Novanta e poi riprese per la vinificazione come si faceva nei vecchi palmenti di una volta. Era un Nero d’Avola che per le sue caratteristiche intrinseche, grande acidità di base, si prestava benissimo all’invecchiamento ed il mercato, soprattutto estero, apprezzava moltissimo il connubio tra vino di grande struttura e longevità. Nello stesso periodo il mercato interno subiva invece la grande crisi del Nero d’Avola e l’apparente mancanza di identità di questo vitigno. Anche noi come azienda abbiamo imparato o a valorizzare Il nome del nostro Nero d’Avola, grazie al successivo cambio di “stile” che abbiamo voluto imprimere al nostro prodotto quando abbiamo cominciato a imbottigliare il Nero d’Avola Strade con la Doc Vittoria, proprio per identificare la zona di produzione. Accanto al Nero d’Avola “Luoghi d’Incanto” abbiamo imbottigliato il nostro “Strade”, Nero d’Avola che ci ha letteralmente aperto la strada alla riconoscibilità di questo vino con il nostro territorio. Strade infatti si produceva con la classica vinificazione in rosso in vasche d’acciaio a temperatura controllata, pur permanendo un affinamento di 4 mesi in vasche di cemento. Questa tecnica era la migliore per fare uscire tutte le caratteristiche del nostro Nero D’avola: incredibile freschezza, note fruttate di ciliegia e persino note floreali. Questo Nero d’Avola ci ha portato al successo sul mercato nazionale rivendicando la territorialità e tipicità e riconoscibilità della zona di produzione da cui nasceva”.
Spostandoci da Caltagirone verso contrada Giurfo a Licodia Eubea Beniamino Fede ha deciso di rievocare attraverso le sue tre etichette, Cerasuolo di Vittoria, Frappato e Nero d’Avola, i profumi e le suggestioni di quella terra che conosce benissimo fin da bambino. Adesso in pensione si dedica a soli due ettari di vigna, di cui 3.500 piante di Frappato e 5.000 di Nero d’Avola su un suolo bianco ricco di fossili e conchiglie. A suo padre dedica il Nero d’Avola “Ianò”, un vino fine ed elegante dove la croccantezza del frutto incontra note floreali. Un sorso che si infrange contro tutti i pregiudizi legati a questo vitigno. A circa 7 chilometri, in direzione Mazzarrone, infine, una menzione è rivolta a Cantine Pepi, guidata dalla giovane Erika insieme a un team dove forte è la presenza femminile. Azienda che “respira” il fragrante profumo del mosto da lungo corso e che da vent’anni si concentra sulla produzione di vino in bottiglia, sia da uve a bacca bianca che rossa, imprimendo anche in questo caso una marcata territorialità, leitmotiv di questo itinerario nel calatino. Più della metà delle vigne sono di Nero d’Avola, distribuite in diverse zone intorno la cantina. Spiccano in particolare quella di Granieri e quella della zona lungo la valle del fiume Dirillo nei pressi del territorio di Giurfo dove l’enologo toscano dell’azienda Alessandro Biancolin confrontandosi con le voci storiche che lavorano la terra rivela come qui ci sia un clone particolare di Nero d’Avola. Cantine Pepi oltre referenze lavorate in acciaio e in legno, scelte legate alle richieste dei diversi mercati, propone una versione più avvolgente e amabile: il Nero d’Avola Ripasso. Dalle uve provenienti dalle colline intorno Licodia Eubea il Nero d’Avola subisce un passaggio sulle vinacce di Frappato Passito. Ciononostante vista la composizione a tratti gessosa con presenza di sabbie e fossili, Biancolin sostiene, in virtù dei suoli appunto, come questa zona possa essere anche un grande territorio per la produzione di vini bianchi dove uve leggermente aromatiche come il Grillo possono rivelare profili organolettici diversi rispetto a quelle sensazioni odorose alle quali siamo solitamente abituati. Un itinerario, questo nel calatino, che non ha la pretesa di essere una guida esaustiva sui vini del territorio ma uno spunto di riflessione sulla ricchezza enoica della provincia di Catania che non può e non deve relegarsi solo ai vini dell’Etna, e sulle sfumature che il Nero d’Avola può offrire con classe e grande dignità. Come dignitosi e orgogliosi sono i produttori che portano avanti un lavoro erede di ciò che il passato continua a consegnarci attraverso la terra e i ricordi. Un itinerario che potrà continuare certamente alla volta del Frappato vinificato in bianco, ad esempio, sulla strada dei vini dolci e dei distillati, o perché no sui rosati. Un percorso che ha tracciato attraverso le voci di ieri e di oggi le caratteristiche del Nero d’Avola calatino il cui racconto, con qualche sfumatura, è pressoché corale.