Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 189 del 28/10/2010

L’INTERVISTA Come nasce una stella Michelin

26 Ottobre 2010
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L’INTERVISTA

Parla il curatore della “rossa”. Il 2010 un anno di resistenza, al Sud molti ristoranti in crisi. “E quella volta in Alta Savoia quando…”

Come nasce una stella Michelin


L’attore francese Louis De Funès nel film “L’ala o la coscia?” in cui interpreta il direttore della guida Duchemin, un modo spiritoso per raccontare il ruolo delle guide ai ristoranti

È questione di poche settimane. Poi arrivano le stelle Michelin e qualcuno stapperà bottiglie di champagne, qualcun’altro no. Per i ristoratori, quelli di una certa qualità è il momento più atteso. Ne parliamo con il curatore della versione italiana della «rossa», da sei anni con quest’incarico ma da ben 33 al lavoro per giudicare i ristoranti.

Niente nomi, per accontentare una specifica richiesta dell’ufficio stampa della Michelin, perché gli ispettori della guida, in tutto una decina, devono restare anonimi compreso il loro capo. E soprattutto niente anticipazioni. I nomi delle tre stelle, delle due stelle eccetera eccetera si sapranno il 24 novembre.
Esordisce: «Il 2010 non è stato un annus horribilis come temevamo. C’è movimento, qualcuno è in trincea ma tutto sommato si resiste».

Come nasce una stella Michelin?
«La stella nasce dalla segnalazione di una prova che un ispettore fa in un ristorante nel suo iter annuale. Se trova quello che per tipologia di cucina, qualità, materia prima e giuste cotture, risponde a livelli alti lo candida alla stella Michelin. Da lì nasce un processo che viene svilippato nel tempo. È chiaro che un locale candidato a una stella o a raddoppiare o triplicare la stella già conquistata va riprovato da altri ispettori. E negli anni successivi nei ristoranti stellati possono variare gli ispettori che possono dare altri esiti. C’è un lungo lavoro, insomma».

Come sta cambiando la ristorazione in Italia?
«È un momento complicato perché ci sono livelli diversi e penso che in queste momento l’alta ristorazione stia soffrendo decisamente. Mi da l’impressione che il cliente ha preso in mano la situazione perché non è lo chef che comanda, piuttosto il cliente che sceglie in base al prezzo e che prima se ci andava per mangiare solo un piatto veniva cacciato via, oggi mangi due piatti appena, senza fare un grande pasto e nessuno dice nulla».

È un passaggio o una svolta epocale?
«No, è la crisi. Forse sarà epocale tra due-tre anni. Nel Sud Italia per esempio i ristoranti di alto livello sono messi un po’ male. Lavorano pochissimo quindi qualcuno ha già iniziato a cambiare la formula».

Come accade a Parigi?
«Più o meno. Pranzi con menu diversi e a prezzi decisamente più bassi. Loro, i francesi, ci insegnano sempre qualcosa. E noi andiamo a rimorchio. D’altra parte chi può permettersi di stare tre ore seduto a tavola a pranzo?».

Il servizio?
«A livello professionale non siamo messi male anche se ad esempio nella ristorazione di livello alto i cuochi sono sempre più personaggi mediatici e questo va a scapito del personale di sala».

Torniamo al Sud Italia. La ristorazione come va?
«In Campania tiene le posizioni. La Calabria è un vuoto storico, non colmabile al momento, la Sicilia ha sempre avuto un buon livello una volta era più concentrata sulla costa Nord, ora la food valley è a Ragusa. Dispiace che una città come Palermo non abbia più una ristorazione di livello, è strano perché viviamo in un’Isola dove la cucina è molto importante. Manca forse un faro, qualcuno di emergente e forte che faccia da traino per gli altri».

Il curatore della Michelin prende fregature al ristorante?
«Sono sempre dietro l’angolo. E sono legate al prezzo. Se paghi 25 o 30 euro hai speso poco. Ma se paghi 60-70 euro allora il discorso cambia. La tavola è il piacere. Devo dire che in 33 anni non sono però mai stato male per un pasto cattivo o indigesto».

Sarà che lei sceglie ristoranti di classe…
«Può darsi».

I piatti per cui stravede?
«Sono curioso di tutto in generale ma stravedo per le lasagne. E poi gli agnolini in brodo. Stravedo in genere per i primi piatti, per me un must. Quando ti siedi un buon primo piatto ha già calmato le voglie. Il secondo piatto è tecnico, più elaborazione, lunghe cotture, ti deve conquistare per farti continuare».

In Sicilia c’è il caso Licata. La Madia, Due stelle, e un paese che offre strade polverose e tanto abusivismo…
«Non è l’unico caso. C’è un Tre stelle a Canneto sull’Oglio in mezzo ai campi…».

Il ruolo del vino?
«È complementare. Il vino ha un suo ruolo importante. Ho notato dal Duemila in poi il fiorire di trattorie che hanno cantine esagerate, prezzi esagerati dove spendi 40 euro per mangiare e 60 per bere, non è una giusta proporzione. Se bevi male lo scegli tu ma se mangi male non lo fai per scelta».

Il ristorante della vita?
«Il pasto che mi ha fatto sentire in Paradiso: a Chez par Bise, a Talloir, Alta Savoia. Un Tre stelle e me lo ricordo ancora. C’è un particolare che non dimenticherò mai. Allora le carte di credito non erano diffuse. Si pagava in contanti, il resto te lo davano solo in biglietti nuovi di zecca, per i proprietari dare quelli usati e sporchi non era elegante».

F. C.